Da chi e quando è stata scritta l'Apocalisse? Cosa esprime l'Apocalisse?
Secondo
la Chiesa, “l'Apocalisse, dal greco “Rivelazione”,
è stata scritta dal discepolo Giovanni, lo stesso autore
del IV vangelo, negli anni 94-95 nell'isola di Patmos (Grecia)
durante le persecuzioni contro i cristiani operate dall'Imperatore
Domiziano. Essa esprime, attraverso la rivelazione da parte
di un angelo a Giovanni l'evangelista, la certezza della vittoria
finale di Cristo sulle potenze del male”. (Bibbia ed.
C.E.I.)
Lasciando ogni commento sul significato abusivo e fazioso
che la Chiesa attribuisce a questo libro, che non è
nostra intenzione entrare in discussioni fideistiche, passiamo
all'esame di questo libro considerando esclusivamente quei
presupposti che possono essere trattati in un processo laico,
quali quelli dipendenti esclusivamente dalla ragione e da
una controllabile documentazione storica.
Il libro dell'Apocalisse, composto di 22 capitoli, è
stata scritta in realtà in due edizioni, la prima costituita
da 18 capitoli, uscita nel 68 durante la guerra del 70, e
la seconda, rappresentata dai primi tre capitolo e dall'ultimo,
che fu aggiunti nel 95 dagli spiritualisti. Come è
logico che fosse, mentre i primi 18, scritti dai rivoluzionari,
sono l'espressione del programma guerriero zelota basato sull'odio
e la vendetta contro Roma e i suoi alleati, i secondi quattro,
scritti dagli esseni spiritualisti, rappresentano tutto il
pacifismo di cui costoro si erano fatti ostentatori dopo la
scissione dalla corrente rivoluzionaria.
L'Apocalisse, guardata dalla Chiesa sempre con diffidenza
per i suoi concetti esseno-zeloti, tanto da essere inclusa
nei testi canonici soltanto nel VI secolo, è dei libri
sacri quello che più di ogni altro dimostra la non
esistenza storica di Gesù.
In entrambe le edizioni, sia in quella del 68 come in quella
del 95, si ignora tutto della vita di Cristo e della sua morte.
Il Messia dell'Apocalisse risiede ancora in cielo, presso
il trono di Dio, e quando in un suo capitolo (XII) si parla
della sua nascita lo si fa concepire dalla costellazione della
Vergine all'origine dei tempi e, sempre rimanendo nel mondo
dell'astrologia, il Messia dell'Apocalisse è rappresentato
in cielo sotto la forma dell'Ariete, primo segno dello zodiaco
che comanda i destini del mondo, al quale viene simbolicamente
associato l'agnello pasquale biblico dell'Esodo. La discesa
del Messia, che si realizzerà, secondo le visioni riportate
dal libro dei Maccabei, nella persona di un condottiero vittorioso
su un cavallo bianco al suono di trombette, annunciata come
prossima, non ha nulla a che vedere con la Passione di Cristo
dichiara avvenuta nel 33: lontano dal morire in croce, egli
sterminerà i nemici per sedere su un trono che durerà
mille anni. La Chiesa cerca di dare a questa immagine dei
mille anni, come viene detto dalla C.E.I nel passo introduttivo
sopra riportato, il valore simbolico di un messaggio di speranza
nella vittoria finale del Cristo sulle potenze del male, ma
basta leggere bene l'Apocalisse per renderci conto che la
distruzione di Roma, simbolo della corruzione, è annunciata
come un fatto reale e non come una profezia.
“Il Messia atteso nell'Apocalisse è il “Figlio
dell'uomo” della visione di Daniele. Lontano dal morire
in croce, egli è colui che stabilirà l'impero
giudaico sulle rovine di Roma che non sono procrastinate ad
un'epoca lontana e futura, ma previste così imminenti
da rendere assurda ogni altra interpretazione. E l'autore,
che ha ripreso questo messaggio nel 95, non contraddice affatto
l'attesa espressa dall'edizione del 68, facendo terminare
l'opera su questa promessa da parte del Messia: <<Si.
io verrò presto>>, al che l'autore rispondendo
:<<Venite, Signore, venite!>>, dimostra di ignorare
che egli sia già venuto sotto un'altra forma”.
(Guy Fau. op. cit. pag. 60).
Come si vede, l'Apocalisse non è che un'ulteriore prova
confermante che nel primo secolo, almeno fino al 95, lontano
da ogni forma d'incarnazione, il Cristo è ancora rappresentato
sotto forma di sogni e di visioni.
<<L'Apocalisse non è l'espressione di un solo libro, ma di diversi, di molti. Non tuttavia unioni di vari frammenti, come per addizione di libri diversi, come Enoch, ma piuttosto di un libro solo, formato da diverse stratificazioni, come quelle di varie civiltà quando si scavi al fondo di un'antica città. Dopo una prima rielaborazione di uno scrittore ebraico di Apocalissi, e dopo altre aggiunte, ebbe la sua versione definitiva ad opera di Giovanni, il giudeo cristiano, e dopo queste stagioni storiche il libro fu ancora rimaneggiato e corretto, con aggiunte e ancellature, da editori che volevano che l'opera diventasse cristiana.
Restiamo
comunque perplessi, poiché se Giovanni terminò
la sua Apocalisse nel 96 d.C., è davvero strano che
egli nulla sapesse della leggenda di Gesù, che nulla
avesse assimilato dello spirito dei Vangeli, tutti momenti
precedenti al suo testo. Strana figura, questo Giovanni di
Patmos, chiunque egli fosse>>. (D. H. Lawrens - Apocalisse-
Tasc. Newton, pag. 38).
...e ancora:
<<L'Apocalisse
è un'opera di guerra, un ardente richiamo dei Giudei
contro l'occupante romano detestato. La discesa del Messia,
annunciata come prossima, non ha nulla a che vedere con una
passione già vissuta: lontano dal morire in croce,
il Salvatore vincitore è visto come uno sterminatore
di nemici prima che possa sedere sul suo regno terrestre di
mille anni. Si cerca oggi di farci ammettere che le immagini
sono simboliche, ma la distruzione di Roma, ricordando quella
di Babilonia, è annunciata come reale. Dopo la descrizione
del grande massacro, l'opera, terminando con la promessa che
fa il Salvatore di venire presto, esclude nella maniera più
categorica che egli, il Cristo, sia già venuto. Tutta
l'Apocalisse ignora del cristianesimo; l'agnello non è
messo a morte sotto Pilato ma è immolato “dalla
creazione del mondo” (XIII-8) secondo un rito di valore
permanente ebraico e non per un fatto storico. Siamo alla
fine della seconda metà del primo secolo e Cristo,
lontano da ogni riferimento storico, è sostenuto nell'Apocalisse,
come negli Atti degli Apostoli, esclusivamente da visioni>>.
(Guy Fau. op. cit. pag. 60).
Il silenzio dell'Apocalisse su ogni riferimento storico della
vita di Cristo, l'ignoranza più assoluta da parte dell'autore
su Pilato, Caifa, i miracoli e quei terremoti che scossero
la terra alla sua morte, sono la dimostrazione più
chiara che tutto ciò che è stato su scritto
su Gesù non è che una favola, per giunta, anche
mal raccontata.
Per quanto riguarda poi la datazione del 95 data dalla Chiesa a tutta l'Apocalisse, siamo di fronte ad un altro falso storico secondo quanto ha inconfutabilmente dimostrato Engels confermando l'uscita della prima edizione agli anni 68-69.
Ma prima
di passare alla dimostrazione di Engels, è bene fare
un breve riepilogo dei fatti che precedettero la sua redazione.
La morte di Nerone, avvenuta per suicidio nell'anno 68, gettò
Roma in uno stato di tale anarchia e di disordine da costringere
le legioni impegnate nella guerra contro i rivoluzionari a
ritirarsi in Siria lasciando campo libero all'esercito giudeo
esseno-zelota.
I Giudei
sicuri di essere pervenuti alla vittoria finale, già
si vedendosi padroni dell'Impero e quindi del mondo, sfogano
nel libro tutto il loro rancore contro Roma, la Babilonia
della corruzione, e contro tutti i nemici di Dio annunciando
un programma di odio, di vendetta e di stragi.
A Nerone succedette Galba, ma sotto il suo regno incerto della
durata di sei-sette mesi compresi tra il giugno del 68 e il
gennaio del 69, la situazione di disgregazione delle istituzione
dello Stato addirittura peggiorò per una voce che cominciò
a circolare secondo la quale veniva dato per certo che Nerone,
dichiarato suicida, non era morto come si credeva ma che stesse
preparando un esercito per riconquistare il trono.
<<In effetti, dopo l'insediamento di Galba al trono
di Roma, ben presto fece la sua comparsa un personaggio che
affermava di essere Nerone e che per un certo tempo combatté
per il potere ma fu sconfitto>>. (Josif Kryvelev. L'Apoalisse.
8)
Fatta questa brevissima premessa, leggiamo ora il passo dal
quale Engels ha tratto la data esatta nella quale fu scritta
l'Apocalisse: “L'angelo mi trasportò in spirito
nel deserto (è l'autore che parla seguendo la sua visione).
Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta,
coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. La
donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro
e di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa
d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione.
Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: <<Babilonia
la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della
terra>>. A vederla fui preso da grande stupore. Ma l'angelo
mi disse: perché ti meravigli? Io ti spiegherò
il mistero della donna e della bestia che la porta, con sette
teste e dieci corna. La bestia che hai visto, ma che non esiste
più salirà dall'abisso ma per andare in perdizione.
E gli abitanti della terra stupiranno al vedere che la bestia
che non era e non è più, riapparirà.
Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta
la donna e sono anche i sette re. I primi cinque sono caduti
(Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone), ne resta ancora
uno in vita (Galba), l'altro non è ancora venuto e
quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco.
Quando la bestia che era e non è più (continua
a spiegare l'angelo), il re che dovrà venire anche
se figura come ottavo rimane comunque il settimo, ma va in
perdizione”.
Perché il successore di Galba potrebbe apparire come ottavo anche se in realtà è il settimo? Perché Nerone, riprendendo il trono secondo quanto si diceva, appare come una doppia figura rappresentando un imperatore già annoverato tra quelli caduti.
Che Nerone
sia la settima testa ce lo conferma lo stesso autore dell'Apocalisse
allorché, riferendosi al suo presunto suicidio, così
scrive: <<Una delle sette teste sembrò colpita
a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita>>. (Ap.13-3).
Un'ulteriore prova confermante che il settimo imperatore,
cioè quello che succederà a Galba, è
Nerone ci viene ancora dalla stesso autore dell'Apocalisse
allorché ci dice che il suo nome corrisponde al numero
666: <<Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli
il numero della bestia: esso rappresenta un nome d'uomo. E
tal cifra è seicentosessantasei>> (Ap. 13-18).
L'interpretazione di questo numero, ricavata da Ferdinand
Bernari, professore berlinese le cui lezioni furono seguite
da Engels, secondo la simbologia numerica ebraica corrisponde
esattamente a “Nerone Imperatore”. Il calcolo
eseguito da Ferdinand Bernari trova conferma nello stesso
Ireneo, Padre della Chiesa, che nel libro “Contro le
Eresie” indica l'Imperatore Nerone con il numero 616.
Perché questa differenza? Per il semplice fatto che
Ireneo fece il calcolo sul testo scritto in latino, dove il
nome Nerone, scritto in greco Neron, diventa Nero. Cadendo
la lettera N, che nella simbologia ebraica corrisponde a 50,
il conto e bello che fatto: 666-50= 616.
Dunque, se l'Apocalisse è stata scritta mentre regnava
Galba, cioè nel periodo compreso tra il quinto imperatore
che era stato Nerone morto suicida e il settimo imperatore,
previsto nella persona dello stesso Nerone redivivo, e sapendo
che Galba ha regnato dal giugno del 68 al gennaio del 69,
come conseguenza l'Apocalisse non può essere stata
scritta chi in questo periodo e non nel 95 come sostiene la
Chiesa, e neppure essere stata redatta da Giovanni l'evangelista
nell'Isola di Patmos ma dai rivoluzionari in Giudea durante
la guerra del 70.
Che i
Giudei fossero sicuri della vittoria sui romani ci viene confermato
da Eleazaro allorché nel discorso di Masada, riferendosi
alla disfatta del 70, la definisce una “sconfitta inaspettata”.
(Guerra Giudaica. cap.8).
La Chiesa, per giustificare il 95 come data da lei assegnata
all'Apocalisse, così commenta il passo dal quale Engels
ha tratto la sua conclusione: <<Sette re, cioè
gl'imperi di Augusto, Tiberio, Caligola, Nerone e Domiziano,
che esisteva ancora al tempo di Giovanni. Il poco tempo è
il tempo della persecuzione e il settimo impero è il
dominio ostile al regno di Dio, identificato con la fiera>>.
(Nota a pag. 7 dell’Ap. Ed. CEI).
Praticamente, pur di giustificare il 95 come anno in cui fu scritta tutta l'Apocalisse, ignorando gl'imperatori Galba, Vespasiano e Tito, la Chiesa fa fare un volo alla testa della bestia numero 5 di ben 25 anni per metterla sulle spalle di Domiziano che viene considerato come il sesto imperatore. E la settima testa? La settima testa la ottiene trasformando il redivivo Nerone in “un Impero ostile al regno di Dio” che incoerentemente viene identificato con l'intera bestia.
Perché la Chiesa insiste ad attribuire all'Apocalisse la data del 95? La risposta è semplice: se riconoscesse che è stata scritta nel 68, tutta la seconda parte riguardante Gesù, cioè i 4 capitoli aggiunti, risulterebbe troppo evidentemente un falso per l'anacronismo esistente tra i concetti espressi nel “Saluto alle sette chiese” nei cap. 1 -2 -3, quali quello dei Nicolaidi, che ancora non esistevano nel 68. Per cui, non potendo retrodatare l'Apocalisse del 95 al 68, l'ha posdata tutta al 95.
Ma in fondo, cosa potrebbe cambiare in ciò che riguarda l'esistenza storica di Gesù anche se l'Apocalisse fosse stata scritta tutta nel 95, dal momento che essa esclude nel suo intero nella maniera più categorica ogni riferimento ad una sua vita terrestre?
L'Apocalisse
è un'opera di guerra che ripete nella maniera più
fedele il programma di sterminio di Roma esposto dagli esseno-zeloti
nel “Rotolo della Guerra” ritrovato negli scavi
di Qumran nel 1947. Essa ignora nella maniera più assoluta
tutto ciò che è stato attribuito a Cristo. Ignora
Pilato, la crocifissione, i miracoli, la resurrezione, gli
apostoli. Essa, disconoscendo tutti gli altri libri sacri
che si riferiscono al cristianesimo, oltre che ha dimostrare
la sua natura giudeo-essena, conferma che i vangeli, gli Atti
degli apostoli e le lettere che la Chiesa afferma esserle
contemporanei, non sono state scritte nel primo secolo ma
in date, come vedremo, molto più tardive.
Il Messia dell'Apocalisse è un condottiero sterminatore
di nemici che dovrà instaurare un regno giudaico che
durerà mille anni. Lontana da ogni forma simbolica
attribuitale dalla Chiesa quale annunciatrice di una vittoria
di Cristo sulle potenze del male procrastinata alla fine dei
tempi, l'Apocalisse parla nella maniera più chiara
della distruzione dei nemici di Dio in una maniera così
prossima e reale da considerarla come se si fosse già
compiuta.
Come si può pretendere che l'Apocalisse sostenga l'esistenza
storica di Gesù quando, sollecitandone la sua discesa
dal cielo, la nega nella maniera più assoluta? (Ap.
22,10).
L'Apocalisse
è un libro di guerra, un ardente appello alla lotta
contro l'occupante romano, un libro di odio e di vendetta
che esclude ogni significato di amore e di pace che si è
voluto attribuire alla morale predicata da Cristo.
Il Messia atteso nell'Apocalisse è il “Figlio
dell'uomo” di Daniele. Estraneo ad ogni morte di croce,
egli è destinato a stabilire l'impero giudeo sulle
rovine di Roma.
Facendo una comparazione tra le due opere che la Chiesa attribuisce
all'apostolo Giovanni, non possiamo trarre che un ulteriore
conferma dell'inesistenza storica di Gesù dal momento
che l'una esclude l'altra se consideriamo che nell'Apocalisse
il Cristo deve ancora discendere mentre nel IV vangelo viene
sostenuto incarnato, nato da una donna terrena che non ha
nulla a che vedere con la costellazione della Vergine.
Se a questo punto mi si facesse rimarcare, come già
è accaduto, che l'Apocalisse conferma l'esistenza di
Gesù nel primo secolo perché essa riporta il
suo nome tre volte (le hanno contate), ebbene non posso che
rispondere che anche se le volte fossero state cinquanta o
cento, a parte il fatto che nulla potrebbe cambiare di fronte
alle prove portate, il nome di Gesù era largamente
usato dagli Essenti nel significato biblico di Jeosua (Giosué)
che significa “colui che salva“ che chiaramente
si riferisce al “Maestro di Giustizia” atteso
dagli Esseni.
Infatti il nome di Gesù lo troviamo nel suo significato
di umanizzazione che gli ha dato Madre Chiesa, per la prima
volta nel “Discorso Veritiero“ scritto da Celso
nel 180 attraverso la confutazione che ne fa Origene riportandone
il passo: << Colui al quale avete dato il nome di Gesù
Cristo in realtà non era che il capo di una banda di
briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni
operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità
è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti
che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a
dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità.
È noto a tutti che ciò che avete scritto è
il risultato di continui rimaneggiamenti in seguito alle critiche
che vi venivano portate>>. (Celso. Discorso Veritiero).
In questa diatriba tra Celso e Origene, quello che ancora interessa, oltre all'accusa mossa contro i cristiani di aver dato il nome di Gesù al capo di una bandi Briganti, è il fatto che Origene in essa non difendeva l'esistenza storica di Gesù ma soltanto il fatto che egli venisse associato ad un capo di briganti, dal momento che egli quale gnostico lo sosteneva soltanto nella sua realizzazione di predicatore che aveva svolto la sua missione prendendo dell'uomo soltanto le apparenze, da quanto ci viene confermato dal Patriarca Fozio che ci dà per certo che S.Clemente e il suo discepolo Origene morto nel 254, negano l'incarnazione di Cristo e di conseguenza la sua figura storica di uomo: <<Il Patriarca Fozio, vissuto nel IX secolo (827- 97), quando ormai la Chiesa aveva i suoi dogmi e non si poteva più seguire quella libertà di studio e di espressione che troviamo nei libri di matrice cristiana del II e III secolo, parlando del libro delle dispute di S. Clemente (160-220), afferma che s. Clemete aveva sostenuto che il Logos non si era mai incarnato (Pag. 286, in Ganeval, cap. II e III); e parlando dei quattro libri sui “Principi” di Origene, ci fa sapere che Origene parlava del “Cresto” - come egli lo chiamava - secondo la favola e che quanto all'incarnazione del Salvatore, egli opinava che lo stesso spirito (soffio) che lo aveva animato era lo stesso che era in Mosè, negli altri profeti e apostoli; onde a ben ragione, Fozio del IX secolo, quale difensore dell'incarnazione secondo i dogmi ormai stabiliti e imposti, se ne scandalizza dichiarando che Origene scrisse molte bestemmie>> (Bossi. op. cit.pag. 39- da Ganeval. Capp. II e III).
A questo
punto non ci resta che aggiungere altri esempi simili al precedente
per dimostrare quanto il cristianesimo che la Chiesa afferma
essersi costituito negli anni trenta, cioè dopo la
morte di Cristo, in realtà ancora annaspava alla fine
del II e per tutto che negano nella maniera più categorica
l'incarnazione di Cristo:
1) S. Giustino martire nel 160, per contraddire Celso che
affermava l'esistenza di Gesù ma soltanto come capo
brigante, scriveva: <<se Gesù è nato,
e se è nato in qualche luogo, rimane comunque completamente
sconosciuto>> (Dialogo con Trifone- Dide. “La
Fine delle Religioni”- pag.171).
3) Papia, vescovo di Gerapoli, autore di una esegesi sui detti
del Signore, vissuto nel pieno del II secolo, mancando di
riferimenti storici sulla vita di Gesù, ne sostiene
l'esistenza citando i passi di un vangelo spiritualista esseno-egiziano
(terapeuta).
4) S. Ireneo, vescovo di Lione dal 177, afferma che il Dio
cristiano non è né uomo né donna.
5) S. Giustino, scrittore cristiano, autore di due apologie
del cristianesimo, morto a Roma nel 165, parlando di Cristo
afferma che è un'emanazione di Dio che avviene come
la proiezione dei raggi del sole. (Concetto gnostico che esclude
ogni relazione tra la divinità e la materia).
6) <<Tutte le sette gnostiche esistenti nei secoli I,
II e III., quali i Marcioniti, i Valentiniani, i Basilidiani,
i Nicolaidi e tante altre negano l'incarnazione di Gesù
affermando, secondo quanto ha detto S. Epifane, che egli è
la ricostruzione di Oro, il figlio della Trinità egiziana,
divenuto poi Serapide.
A queste sette, citate da Ganeval, le quali negavano che il Verbo si fosse fatto carne, va aggiunta e segnalata specialmente quella dei Doceti, negatori della storicità di Cristo, per confutare i quali, secondo il Salvador (Gesù Cristo e la sua dottrina- lib.II, cap.II), il quarto vangelo aggiunge alla Passione il colpo di lancia che fa uscire acqua e sangue dal corpo di Cristo per provare la sua natura umana a quanti la smentivano. Determinante per la negazione dell'umanizzazzione di Gesù è il fatto che i doceti sono contemporanei degli apostoli, al dire di S. Girolamo>> (Bossi. Gesù Cristo non è mai esistito. Ed. La Fiaccola. Pag. 40).
Praticamente
la figura storica di Cristo che tutti, compresi i Santi e
gli esegeti cristiani si rifiutavano di riconoscere, se è
stata riconosciuta tale non è dipeso da una documentazione
corredata di prove ma bensì da un'imposizione di falsità
e di contraffazioni sostenuta dalle torture più atroci
e dal rogo.
<<Se il Gesù dei cristiani fosse veramente esistito,
non si avrebbe avuto bisogno di falsificare la storia per
provarlo>>. (Bossi, avvocato. op. cit. pag.16).
Inchiesta di Domiziano.
Secondo
quanto dice S. Eusebio, l'Imperatore Domiziano (81-96), avendo
sentito parlare dei cristiani, avrebbe fatto venire a Roma
dalla Palestina dei parenti del Signore, discendenti della
stirpe di Davide, per interrogarli sul Cristo del quale aveva
sentito parlare. Costoro, ignorando apostoli, passione e morte,
gli risposero che “il regno di Cristo non essendo di
questo mondo e di questa terra, ma celeste e angelico, si
sarebbe realizzato alla fine dei tempi”.
Domiziano, sempre stando a S.Eusebio, rassicurato dal pacifismo
che avevano dimostrato queste brave persone, li rinviò
in Giudea (augurandogli un buon viaggio. o.p.)
Questo fatto di per se già privo di logica per il semplice motivo che Domiziano se avesse voluto informarsi sul Cristo e sui suoi seguaci avrebbe avuto sistemi molto più imperiali che quello di convocare dei Giudei a Roma, come fece per esempio dopo di lui Adriano che chiese informazioni a Plinio il Giovane procuratore della Bitinia, non è che un altro esempio dei tentativi fatti dalla Chiesa per dimostrare l'esistenza storica dei cristiani nel primo secolo attraverso la falsificazione dei documenti. Se ci fossero stati veramente dei cristiani a Roma, con tanto di vescovi successori di S. Pietro (morto a Roma nel 63), come S. Anacleto (76-88) e S. Clemente (88-97), perché Domiziano avrebbe dovuto far venire dei cristiani dalla Palestina per informarsi della loro religione? Come può la Chiesa giustificare la contraddizione tra un Domiziano che interroga dei cristiani che non conosce e che per giunta gli risultano dopo l'interrogatorio dei pacifici seguaci di una religione del tutto spirituale, e un Domiziano che nello stesso tempo ci viene presentato come un persecutore dei medesimi? Come potrebbe Domiziano (51-96) ignorare i cristiani quando nel 68 furono accusati dell'incendio di Roma? È chiaro che tutta questa confusione esistente nella storia ecclesiastica dipende dalla necessità che la Chiesa ha avuto per potersi sostituire a quegli esseni pacifisti che sostenevano il Cristo di un regno angelico e celeste.