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Argomenti
Evoluzionismo
Quella
che chiamiamo Natura è il complesso delle cose e degli
esseri dell'Universo, con le sue leggi non sempre comprensibili
ai nostri canoni intellettivi.
Sappiamo che il magnetismo che muove l'universo spinge la
natura verso qualche cosa che è in fondo al vicolo
dell'eternità.
Dal segmento di strada che siamo riusciti a studiare abbiamo
capito che la natura, partendo da un disordine continuo, tende
verso un ordine, una stabilità, cioè al cosmo.
Per fare questo il grande spirito (Magnetismo) si è
addensato in materia per dare supporto plastico al suo trend.
Come dire che esso strafacendo si crea ponti e zattere per
portarsi sull'altra riva del tempo.
Autorevoli scienziati ci dicono che il percorso della natura
va dalla materia alla psiche, che è la massima possibilità
di statica della sopravvivenza. (Bernal).
Secondo Gurdijev il corpo, non solo degli uomini, possiede
un'intelligenza propria, che risiede nel cervello, ma è
diffusa in tutto il corpo fisico (intelligenza cellulare).
Per lo più la psiche risiede in quell'accumulatore
di memoria che è al vertice di ogni primate e che si
chiama cervello.
Perché questa tensione alla sopravvivenza? Poiché
la materia che fa da supporto al sogno dell'Universo è
effimera, essa è corta all'assunto, perché dal
suo stesso nascere comporta gli enzimi della sua caducità,
quella che gli scienziati chiamano entropia, e quindi la morte.
Dunque il segmento di eternità rappresentato dal tempo-materia
non è sufficiente a traghettare tutta la spinta del
caos verso il cosmo.
La natura perciò addensa continuamente materia e quindi
esseri viventi per portare il suo sogno al di là del
tempo-spazio. Essa produce a getto continuo esseri viventi
come interrogativi posti all'ambiente che li ospita, ma, opponendo
all'ambiente molte resistenze, quegli esseri sono obbligati
a confrontarsi con esso e quindi o a soccombere o a vincere
in questo sforzo.
L'impatto di quelle proposte causali con l'ambiente seleziona
per necessità quella più adatta a superare gli
ostacoli della sopravvivenza.
Perciò, qualsiasi variante anatomica, richiesta da
un dato tipo di mobilità e di adattabilità viene
trasmessa per selezione naturale alle generazioni successive,
estinzione compresa.
L'estinzione è l'inevitabile sbocco dell'evoluzione
e un fattore cruciale nel determinare il corso. Le estinzioni
infatti azzerano l'evoluzione e orientano la vita in direzioni
diverse. È come un artista che produce infinite prove
d'autore senza mai arrivare a un bon-à-tirer.
Gli scienziati concordano: la vita sulla terra ha subito almeno
cinque estinzioni di massa e molte altre estinzioni inferiori.
Fu così che la costruzione dell'uomo-molecola
del precambriano, oltre 650 milioni di anni fa, che veniva
dalla profondità degli oceani con una laurea ad honorem
in fotosintesi, consegnò il suo elaborato genetico
al trilobita marino del cambriano.
Tra gli anelli della foresta dei coralli fossili ancor oggi
si racconta che in cima al tempo la dea della notte, gelosa
della figliolanza di Anfitride, si mise a cullare il mare,
spingendolo fra i seni della terra. I pesci sconfinarono all'avventura,
creduli che quella tiepida, accattivante libertà fosse
un regalo del grembo materno.
Fu così che la dea della notte adagiò nudi sulla
terra i figli del mare.
Lasciati in secca dalla luna nelle pozze delle maree, le spugne
del Devoniano divennero alberi e i pesci divennero anfibi.
Le latimerie - fossili viventi trovati di recente al largo
del Madacascar, anello di congiunzione tra i pesci e noi-
divennero tetrapodi pensando all'uomo.
Il seno della terra era fecondo, ricco di ossigeno e di sole,
grazie alla fotosintesi catalizzatrice delle piante. (Uccidere
un albero è distruggere un impianto di depurazione
naturale sofisticato in miliardi di anni).
Nel triassico dunque la terra era satura di potenziale nutritivo
e tutto divenne gigantesco: i serpenti anfibi si deformarono
a dinosauri, i crostacei e amtropodi tormentarono il mare
e insetti enormi sferzarono il cielo.
Il Jurassic Parc 181-135 milioni di anni fa era al completo:
oltre ai dinosauri, zii d'America dell'uomo, i primi veri
mammiferi e uccelli si contesero il domino della terra.
“Il mattino del 30 nov.1974 mi svegliai all'alba come
sempre quando lavoro durante una campagna di ricerca. Ero
in Etiopia, accampato in riva a un fiumicello fangoso di nome
Awash in un posto che si chiama Hadar a 150 Km. a NE tra Addis
Abeba e Gibuti. Un'idea fissa nella mente: trovare tracce
dei nostri antenati vissuti al di là della preistoria”.
Così leggiamo nel diario del paleontologo californiano
Don Johanson. Quel giorno Don Johanson e il suo amico Tom
Grey si appiedarono per lungo tratto nel deserto Dancalo,
nel quale già numerosissime tracce narravano il quotidiano
dei nostri lontanissimi progenitori perduti alla memoria perfino
di se stessi.
All'improvviso, frugando con lo sguardo fra le antiche rughe
del deserto, i due si trovarono davanti a un miracolo da sballo.
Lì, in Etiopia, a Koobi Fora, nella valle degli ominidi,
proprio presso Hadar, nel deserto Dancalo, LUCY, la regina
del tempo, ancora giovane, alta la metà di Teresa di
Calcutta, era distesa su un letto d'argilla e di tufo. Il
suo fisico testimoniava un incedere eretto e i suoi occhi
scrutavano il futuro da molto prima che Dio fosse stato creato.
Erano Quasi quattro milioni di anni che Lucy, la regina del
tempo, attendeva i suoi nipoti, perché la profezia
della morte la riconsegnasse alla memoria e, con lei, riconsegnasse
alla memoria di se stessa l'umanità intera.
Dal giaciglio del tempo Lucy parla al cuore e allo stupore
dell'eterno viandante. La sua voce si fa gesto e ne addita
il suo antenato Rama, un ominide alto meno di un pony, villoso
e camuso, vissuto nel corno d'Africa otto milioni di anni
da noi.
Poi il suo racconto, essenziale come una piramide, si inoltra
nella notte dei tempi, sulla gremagliera sdentata delle ere.
“Da questa terra il mio avo Lotha, milioni di anni prima
di Rama si alzò in piedi e intraprese quel lungo cammino
che cominciava qui e dovunque sul pianeta.
Innumerevoli estinzioni caddero lungo il tragitto e l'andare
è eterno come la sopravvivenza. Alle foci del Nilo
piegò verso la casa lontana dell'Aurora, dove ancor
oggi dorme, l'uomo di Lao-tian. Poi il suo cammino si volse
al giaciglio del Sole, dietro i dossi di Atlantide. Ma un
dio lo fermò: Il Sole che passa la notte coi morti
- gli disse - è quello dell'aurora di domani; aspettalo
agli ormeggi del cielo.
Nelle fauci dell'Etruria trovaste la casa dell'oreopiteco:
l'uomo di Grosseto oggi compie 12 milioni di anni. Nell'alfabeto
delle nostre ossa c'è la storia del mare, del cielo
e della terra”:
Poi, come in un fotogramma fisso, tacque; lo sguardo perduto
in un felspato di Solnhofen, su cui era incisa una lunga,
incomprensibile parola: PRECAORSIDECARPETRIGIUCREPANE.
Gli uomini di Kobbi Fora, recedendo dal tronco della regina
del tempo, ne segnarono il cranio col numero 1470.
La scienza trapunge coi numeri le sue conquiste, cosciente
che i numeri sono infiniti.
È
indispensabile che noi conosciamo questa storia, la nostra
storia, quella dell'evoluzione, che va dal plancton all'umano,
dalla materia allo spirito, da Pasife al carro del Sole. Essa
è sotto i nostri occhi e dentro di noi in ogni istante,
ma come speso avviene, accecato da idiote ideologie apodittiche
e terrorizzato da dirottatori della storia, l'uomo, teschio
vanitoso, si nega l'ultima possibilità di capire se
stesso e dunque di avere un giudizio di prospettiva completo
e un comportamento aderente alla realtà.
Sono certo che un giorno la coscienza e il raziocinio arriveranno
a separare l'immaginario e il magico dall'istinto delle cose,
distruggeranno il mito e la sua parte menzognera, ne esalteranno
la poesia.
Dunque dall'ameba del Precambriano all'homo sapiens, all'astronauta
di oggi che si aggira per l'universo come Telemaco sulle orme
di Ulisse, la vita della materia-uomo non è che l'ultimo
capitolo della storia della sopravvivenza e dell'evoluzione
che ci arriva dalle profondità spaventose dell'Universo.
Come l'emigrante di un tempo si presentava all'imbarco con
la sua valigia di cartone e il cuore pieno d'incognite, solo
fra mille, così miliardi di volte al giorno lo spermatozoo
si presenta al molo di tinca con nello zaino le credenziali
dell'universo come il più avanzato, ma non definitivo
prodotto di quel destino di cui egli è soltanto un
occasionale tassista notturno.
“Ogni individuo vivente di ciascuna specie -dice Herbert
Spenser - non è nulla di più che un involucro
protettivo contenente i semi della riproduzione. Una gallina
è un mezzo per un uovo per ottenere un altro uovo fino
a quando un crepaccio dell'evoluzione ne devierà la
struttura e il nome”.
Ciò dimostra che in natura non c'è teologia:
solo l'istinto di sopravvivenza lancia nel tempo e nello spazio
gl'interrogativi della vita.
Monod e Jacob affermano che l'evoluzione delle forme viventi
è un incessante lavorio di bricolage cellulare.
E contro il predeterminismo confessionale l'ironia di Voltaire
fa dire al dottor Pangloss nel suo “Candido”:
<<Ogni cosa è stata fatta per uno scopo: I nasi
per portare gli occhiali, ecco perché portiamo gli
occhiali>>.
Con Pangloss le Scritture affermano che gli animali sono stati
creati per servire all'uomo!
E i dinosauri?
I maligni dicono che il Padreterno, rosso di vergogna, bofonchiando
<<Porco Giove>> abbia preso una meteora e l'abbia
scaraventata sui dinosauri facendoli scomparire dalla faccia
della terra insieme ad un'infinità di malcapitati conviventi.
W. Benjamin affermava: “Articolare storicamente il passato
significa afferrare un frammento di memoria nel suo fugace
risplendere in un momento di pericolo”:
Tenendo dunque per corazza la legge della sopravvivenza e
dell'evoluzione in ogni direzione ripercorreremo a volo d'aquila
l'ultimo segmento di questa eternità, quello che ci
sta più vicino e a cui apparteniamo come esseri umani.
Siamo nell'ultimo scorso del Neogene, da 24 a 0 milioni di
anni fa, quello che va sotto il nome di Pleistocene. “Allora
gli antenati dell'uomo erano scimmie antropomorfe o semplicemente
scimmie. È pusillanime e disonesto che un ricercatore
illuminato dica altrimenti”. (G. Simpson).
In quella grande fioritura di scimmie antropomorfe del miocene
noi siamo dei sopravvissuti.
Quando morì l'orango N° 760, proveniente dal Borneo,
Carper, naturalista olandese (1722- 89), studiandone il cadavere
e lo scheletro trovò ben 354 caratteri anatomici simili
a quelli dell'uomo.
Solo nel 1733 Linneo, nel Systema Naturae, con ottimismo razionalistica,
classificava l'uomo nel regno animale col nome di Homo Sapiens
e lo studiò con gli stessi metodi usati dagli zoologi.
Nell'agosto del 1856 la scoperta di un altro paleontropo costrinse
il mondo scientifico ad accettare e classificare gli uomini
primitivi antidiluviani e a rigettare il dettato biblico della
creazione come falso e fuorviante.
Darwin, con l'occhio fisso all'evoluzione verticale, non si
era accorto di quella orizzontale e/o parallela.
La terra infatti nel Medio Pleistocene ospitava i gigantopoteci,
che durante lo sviluppo dei mammiferi vivevano in compagnia
dell'Erectus e di altri antropomorfi e specie affini: quelle
sembianze che oggi riappaiono nelle fiabe e nel folclore di
tutti i popoli come giganti, orchi, nani, fate, silfidi, folletti
e fauni: memoria di un mondo popolato di esseri proteiformi,
dai poteri spesso magici.
Dal Driopiteco africano ed europeo, al Rama indoeuropeo, all'ominide,
all'Australopiteco del Pliocene, genitore dell'Homo robustus,
sul filo di lana tutti concorsero alla nascita dell'Homo Habilis
di 2 milioni di anni fa. A loro seguì l'erectus padre
del Sapiens.
La necessità di avvistare la preda da posizioni di
vedetta per una difesa teleologica e/o quella di tenere gli
arti anteriori liberi dal contatto con la terra per maneggiare
meglio gli strumenti e i cibi e/o la libido di una tecnica
sessuale più mirata (accoppiamento frontale - Lovejoy),
spinsero l'Erectus e il Sapiens padre e figlio ad alzarsi
per la prima volta in piedi.
Alla luce della legge della sopravvivenza la svolta evoluzionistica
del Sapiens fu operata per scrutare meglio e da più
lontano il suo futuro, perché dal punto di vista della
pura efficienza - dicono gli studiosi - la locomozione bipede
è un modo assurdo per procedere.
La laringe dell'Homo Erectus si apre al linguaggio e il grugnito
del piteco diventerà nei millenni il canto del Sapiens
Sapiens, di Callas e Pavarotti.
Verso la fine del pleistocene, 150.000 anni
fa, visse l'uomo di Neander. Brachicefalo, cannibale, alto
poco più di un metro, vestito di pelli. Aveva il culto
dei morti e dell'orso suo compagno di caverna. Egli - affermano
gli scienziati - scomparve come un binario interrato nella
storia dell'evoluzione umana, ridotto dal sopravvivente dolicocefalo
Cro-magnon, per ragioni di caccia e di sopravvivenza, a morire
tra i crepacci e gli abissi della terra e quarta glaciazione.
I superstiti, seguendo i frattali del disgelo dietro le mandrie
di renne della tundra, si diffusero in Eurasia e, piegando
a sud, nel Transvaal si mescolarono con gli uomini di Boskop.
Giunsero fino in Africa, dove incrociarono, in risalita, i
nipoti del Sapiens.
40.000 anni fa i paleosiberiani passarono Bering e 10.000
anni fa erano sulla punta sud del continente americano.
26.000 anni or sono l'uomo di Lau-Tian scende
dagli alberi, esce dalla giungla, passa per le steppe dell'Asia
e giunge in Sumeria, bassa Mesopotamia, dove scopre il mistero
della vita nei solchi della terra. Da un modo di pensare tipologico
formula un pensiero di gruppo, sviluppa la sua intelligenza
individuale e arriva ai metodi di lavoro e crea.
Istinto e intuito erano la guida dei paleolitici, nipoti del
Sapiens, che gli aveva lasciato in eredità la coscienza
del tempo e dello spazio.
Essi erano un tutt'uno con la natura e il suo spirito. Catturati
dai microclimi, avevano cominciato a differenziarsi in ecotipi:
l'ecotipo risponde all'ambiente avaro o generoso con la ferocia
o la serenità.
Il loro corpo e il loro gesto erano nel tempo
diventati parola e quindi cultura e la cultura fece dell'ecotipo
un'etnia, che, alla bisogna, si rivelò più forte
delle invasioni.
Dal nome della località della Francia Occitana, dove
fu scoperto, lo scienziato Paul Broca chiamò quel paleolitico
dolicocefalo CRO-MAGNON.
Al contrario dei Neanderthal, i cui brachicefali nepoti si
accoppiano contro natura nei pornisteri delle chiese e latrano
contro gli evasori della loro fiscalità giudaica, i
paleolitici non temevano la morte e i loro riti erano mito
e magia della vita nelle forme della sua rinascente eternità.
La morte, come presso certe popolazioni primitive di oggi,
non era per loro che una fase del ciclo della vita, senza
Dei incubi e sciaguranti come quelli che tormentano le coscienze
dei romei di tutte le mecche della storia dell'intolleranza,
da Babele a Roma, fino all'aldilà di tutte le estasi
kamikaze.
I paleolitici invasero la terra e svilupparono il gusto estetico
per rappresentare graficamente i simboli magici delle loro
credenze.
Dall'8000 al 4000 visse il neolitico che coltivò
le pianure dell'Indo, a est di Eden e di Sumeria fino alle
rive del mare orizzonte.
Dalle verdi fertilità gli uomini guardarono al sole,
ne seguirono i raggi di fuoco e videro che essi entravano
nei frutti della terra. Ne assaporarono e dissero: <<Il
Sole è buono e forte>>.
Sui dossi e colli della luce di Stonehenge e di Babilonia
gli uomini posero i binari al Sole. Segnarono le sue strade,
i suoi Menhir, costeggiandoli di pietrefitte, perché
egli, sorgendo dalla casa dell'Aurora, non uscisse dalla loro
preghiera che dalle steppe dell'Asia lo seguiva fino a ridursi
in fiocchi nelle solitudini del tramonto.
A Babilonia nacque la civiltà eneolitica del rame e
colacolitica che nel 3000 avanti l'era volgare raggiunse l'Egitto
e verso il 2000 l'Europa.
L'uomo eneolitico ideò il calendario e il sistema decimale
(Egitto) e l'astronomia (Babilonia).
Nel Nord dell'Europa i biondi Celti, la cui religione conservava
la freschezza della magia dei mesoliti con le loro divinità
personificanti le forze della Natura e protettori degli animali
e i loro Druidi officianti sulle rive dei fiumi, dove era
la casa della Madre Terra, scesero al Sud e portarono il ferro
e, verso il 500 av. era volgare, la cultura della loro dea
Latene.
Latene in Europa, Dario soggioga l'Asia occidentale. Erodoto
in Grecia fonda la storia, Ippocrate la medicina, Socrate
la saggezza, Aristotele cibernitizza lo scibile umano.
Fu allora che il pensiero lasciò la via naturale della
vita gioiosa e fiduciosa nella bontà delle cose, iniziata
dai paleolitici e dai Celti e intraprese la strada delle culture.
Nel folklore di tutti i popoli europei rimane la storia dei
vinti mesolitici e dei Celti (T. de Chardin).
Col popolo romano si fusero i pelasgi, i liguri e gli etruschi;
con i megalitici dolicocefali si fusero i Dinarici, gli Alpini
e i Nordici.
I Romani sparsero il loro seme in Africa, in Medio Oriente
e nell'Europa dell'Est. I barbari rimescoleranno tutte le
razze.
Il Neolitico affermò la razza mediterranea, il ferro
armò i Nordici (i Vichinghi che giunsero fino in America).
Sulla terra di oggi ogni volto è un filo che ci lega
ad una diversa pellicola di coscienza. Non vi sono prove scientifiche
dell'esistenza delle così dette razze pure, poiché
l'ibridazione umana è in corso da secoli.
La “razza” è solo una varietà dell'homo
sapiens. Il concetto di razza è un errore scientifico.
Il razzismo religioso poi, che è il peggiore di tutti,
crocifigge alla terra ideologie disumane.
TUTTI GLI UOMINI SONO SIMILI PERCHÉ EREDI DEL PATRIMONIO
GENETICO DI TUTTA L'UMANITÀ'.
La
parola misteriosa incisa sullo scisto di Solnhofen non è
la formula magica di uno scongiuro sciamanico per esorcizzare
un malanno dal corpo di un invasato. Se mai lo fosse, essa
dovrebbe servire a scacciare un demonio ben più pericoloso
e potente di tutti i demoni pagani e divini che dalla preistoria
impazzano per le vie del mondo, ora paludati in lamé,
inscenando sulfurei riti o brandendo melense minacce d'intolleranza,
ora con Kafia e turbante Kaeda, cavalcano procelle musulmane
come profeti di sale, stretti dalla parte fanatica di un kalashnicov.
Quel Leviatano che risucchia da dentro come un cancro l'umanità
e che fa della storia un deserto intriso di sangue è
l'analfabetismo della spirito o, come lo maledicono le sue
innumerevoli vittime: L'IGNORANZA, figlia e madre deforme
della PAURA.
Quella parola misteriosa non è altro che un espediente
mnemonico formato dalle prime sillabe dei nomi delle ere,
che ci hanno preceduto e che, messe in ordine cronologico,
ci aprono l'album di famiglia per mostrarci le foto tridimensionali
delle nostre origini e darci la consapevolezza di quello che
siamo e dove andiamo.
Nessuna bieca e fuorviante teologia, nessuna cruenta ideologia
riuscirà a cancellare dal nostro DNA la memoria biologica
del lungo, interminabile travaglio che il genere umano ha
attraversato per approdare alla delusione che ci tormenta.
Solo la coscienza del nostro passato più remoto può
aiutarci a riscoprire le lontane coordinate da cui procediamo
e ridare una dimensione meno rovinosa al nostro io.
È compito dell'antropologia di portare l'uomo a riconoscere
i suoi limiti e indurlo a guardare con coraggio la sua storia
fatta di crogioli e di scorie.
Ogni antropologo sa che sotto quelle sembianze scimmiesche,
non sempre gradevoli alla nostra pruderia estetica, c'è
un uomo che porta sul collo il giogo della sua tragica dignità
e a spalla il suo medagliere fatto di stracci, di malattie,
di ferite e di cicatrici e non sa dove andare, né che
fare se non accendere il suo cuore come braciere di fiamme
per scaldare con l'amore e la solidarietà, la conoscenza
e il raziocinio questo freddo segmento di eternità
che le stelle ci irridono.
Ancora una volta la voce degli artisti, che per i sentieri
di Ulisse e di Enea percorrono i territori delle origini e
sanno coordinare le intuizioni fino verso il mistero, ci può
donare l'energia che ci spinge a surclassare la delusione
di essere uomini.
Un Merisi che con disperata dignità
toglieva il cerone clericale della venerazione dalle facce
dei suoi santi e prestava il volto delle prostitute alle sue
Madonne, proferiva la sua veggenza: “NESSUNA SPERANZA,
NESSUNA PAURA!”
Così Caravaggio.
“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole
ed è subito sera”.
Così Quasimodo.
“ ....e nel cuore liso/ l'ansia di scegliere/
sull'ora che scorre/ al bivio di sempre/ speranze di storia.”
Così l'autore.
Giulio Tamburrini
L'ASSURDITA' DELLA CREAZIONE
“... e Dio creò dal nulla tutte le cose”.
Risposta di un ateo a un credente che sostiene la “creazione”.
“Assioma fondamentale n° 1 del credente:
<<L'universo ha avuto un principio, prima c'era (?)
il nulla>>. (Per te “essere” ha un altro
significato oltre quello di esistere?).
“Assioma n° 2: <<Dio essendo increato è
sempre esistito>>.
Osservazione: Ma allora, anche il nulla, dal momento che sempre
esistito, come tu affermi, non può essere stato creato.
E se questo nulla esisteva prima della creazione, come si
esprimeva? Cosa era? Quale forma aveva? E poi cos'altro potrebbe
significare la presenza di un qualcosa nel nulla se non che
il nulla non è più nulla, almeno che questo
qualcosa, come il tuo Dio che c'era dentro, non sia anch'essa
un nulla? Dunque, se hai ben capito, due sono le cose: o Dio
era un nulla nel nulla oppure il nulla non è mai esistito.
Assioma n° 3: In un momento determinato dell'eternità
già passata (se affermi che c'era il tempo prima della
creazione come puoi sostenere che ci fosse il nulla?), Dio
sentì il bisogno di creare l'universo.
Come può essere che Dio, questo nulla nel nulla, possa
essere stato preso da un bisogno urgente come qualsiasi volgare
essere vivente, quale quello di fare la pipì oppure
defecare, in questo caso l'universo? Tutto questo non rappresenta
una contraddizione con l'affermazione che vuole Dio un essere
perfetto? Come è possibile che un'entità a cui
non manca nulla e quindi completa di tutto (altrimenti non
sarebbe perfetta), possa avere bisogno di qualche cosa?
Assioma
n° 4): Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza.
Come puoi affermare che sia stato Dio a creare l'uomo a sua
immagine e somiglianza quando con i suoi bisogni appare lampante
che sia stato l'uomo a crearlo uguale a se stesso riportando
in lui tutti i propri difetti e le proprie contraddizioni
di essere imperfetto? Basta leggere il tuo libro, la Bibbia,
scritta soltanto qualche secolo prima della nostra era, per
renderci conto quanto il tuo Dio, quel nulla nel nulla che
tu hai deificato dichiarandolo perfetto, con la sua natura
irascibile, vendicativa, razzista e ottusa sia un prodotto
degli uomini, una costruzione della specie umana di cui tu,
come credente, ne rappresenti la parte peggiore.
Cosa credi di ottenere citando Kant? Su, coraggio, tira fuori
la tua scienza e tutti quei libri che, dimostrando che la
malattia più grande dell'uomo è quella di credere
che bisogna dare un principio a tutte le cose, invece di difenderlo
invalidano il tuo credo.
“Se c'è un inizio c'è un evento e se c'è
un evento ci deve essere una causa...” è il ritornello
che ci hanno cantato gli scolastici, Platone e Aristotele
per decine di secoli girando a vuoto con ragionamenti da malati
mentali per inventarsi alla fine un ESSERE perfetto senza
causa e senza creazione.
Noi non siamo perfetti, e la vera infermità di cui
noi soffriamo è quella che non potremo mai comprendere
l'infinito nel quale vive il nostro microscopico universo...
ma certe cose non si possono spiegare a gente intellettualmente
debole come te!
Estratto da un intervento sulla “Tribuna di discussioni” www.anti-religions.org firmato Yohanan.