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Riepilogo della storia essena
Breve riepilogo della storia essena precedente alla guerra del 70
La rivolta dei Maccabei.
Nel 586 a.C., in seguito alle continue rivolte suscitate dai Giudei, Nabucodonosor attaccò la Giudea, distrusse il Tempio e deportò in Babilonia il Re Ioachin e tutti i maggiori esponenti giudaici. (II Re. 24,14).
Le persecuzioni che ne conseguirono, operate dall'esercito babilonese e dai popoli palestinesi che si erano uniti ad esso, quali i Moabiti, i Caldei, gli Ammoniti e gli Aramei, costrinsero i superstiti Giudei a fuggire nelle altre nazioni (prima diaspora del popolo ebraico).
Dopo 50 anni di prigionia, lasciati liberi da Ciro il Grande in seguito all'annessione di Babilonia all'impero persiano (539), i Giudei, approfittando della libertà di culto che gli era stata concessa, ricostruirono il Tempio di Gerusalemme ed elaborarono un piano per riunire tutti gli ebrei che in seguito alle persecuzioni di Nabucodonosor avevano lasciato la Giudea per rifugiarsi presso i popoli vicini. Avendo compreso, durante la prigionia in Babilonia, quanto fosse determinante per l'unità di un popolo avere una sola religione, loro, che avevano seguito fini ad allora il politeismo, decisero di darsene una attraverso la composizione di un libro, la Bibbia, nel quale, attraverso una storia del tutto inventata, si attribuirono il passato di un popolo che aveva seguito sin dai tempi più antichi un solo Dio che chiamarono, in una confusione di appellativi quanto mai improvvisati e ricopiati, ora “El”, che è la radice di nomi di divinità sumere, ora Yahvet la cui etimologia estremamente confusa è già sufficiente per dimostrare quanto essa sia il risultato di un'invenzione priva di ogni pretesa storica: <<Yahveh, una delle denominazioni del Dio d'Israele, che si alterna con quella di El, forse significa “colui che è”, forse il “vento, il fiato divino”, forse il “distruttore”, la “luce che abbatte”; potrebbe derivare anche da Jahu o Jeo, che ritroviamo come suffisso in alcune formule rituali (Hallelù-jah), “Sia glorificato il Iddio”, e in alcuni nomi della storia ebraica, tra cui Jeho-shuà, “soccorso di Dio” (che viene reso in Italiano talora con Giosuè e talora con Gesù). Era una divinità della natura, delle tempeste e dei vulcani. Un dio ja-u si ritrova nella Siria settentrionale; nei testi ugarici di Ras-Shamra che risalgono al XIV secolo a.C. viene menzionata una divinità dello stesso nome>>. ( A.Donini. Enciclopedia delle Religioni. Ed. Teti).
Costruitosi così attraverso fatti immaginari, basati per lo più su leggende tramandate dai cantastorie, un passato che li vedeva trasformati, da anonimi nomadi senza patria, in un popolo storicamente riunito sotto un solo Dio, la comunità di Gerusalemme dette il via al programma di riunificazione che in gran parte fu accettato dalle altre comunità sparse nel Medio Oriente che, pur continuando a vivere presso altre nazioni, intendevano continuare a gestirsi in una forma autonoma secondo le leggi dei loro padri.
Ma per quanto continuassero a sentirsi tutti uniti in quelle che erano le tradizioni ataviche, non tardarono a formarsi delle divergenze tra la comunità di Gerusalemme, che insisteva a perseguire una politica rivoluzionaria per la riconquista della Palestina, e le comunità extra palestinesi che, assimilando sempre più i concetti spiritualisti e pacifici dei popoli che li ospitavano, giunte alla conclusione che le guerre avrebbero portato soltanto lutti e dolore, decisero ad un certo punto di separarsi formando una corrente religiosa autonoma come risulta dai libri che uscirono nel IV, III e II secolo, quali le Cronache, Esdra e i Salmi. (vedi La favola di Cristo).
Le due correnti, quella guerriera rappresentata dalla comunità di Gerusalemme e quella spiritualista composta dalle colonie ebraiche residenti per lo più nelle maggiori città siriane, egiziane e greche, quali Damasco, Antiochia, Alessandria, Bitinia, Efeso e Atene, rimasero così separate fino a quando, nel 168, Antioco IV, detto Epifane, tolse ogni libertà religiosa che era stata fino ad allora concessa dai suoi predecessori, imponendo alle nazioni suddite le divintà elleniste. A differenza di tutti i pagani che accettarono tale imposizione per via del sincronismo che era in atto, i Giudei di Gerusalemme reagirono dando inizio a quella rivolta che prese il nome dei Maccabei perché promossa dal sacerdote Mattatia detto il Maccabeo e dai suoi figli Giuda, Simone, Eleazaro, Gionata e Giovanni che accampavano diritti al trono di Gerusalemme quali discendenti della stirpe di Davide.
Gli spiritualisti, vedendo nell'interdizione di Antioco IV la fine della loro razza la cui preservazione, dal momento che gli ebrei non avevano una terra propria che gli desse un'indiviadualità di nazione, si reggeva esclusivamente su un programma religioso, messo da parte ogni programma basato sul pacifismo, si unirono a Mattatia il Maccabeo per sostenere con lui la rivolta armata.
I primi spiritualisti ad unirsi ai rivoluzionari Giudei furono gli Asidei il cui nome, da “Hassedin”, significa devoti, osservanti.
Ma poiché la corrente religiosa, dopo la separazione, si era fatta sostenitrice di un Messia tutto proprio, il movimento rivoluzionario si trovò con due Messia, quello guerriero davidico prescelto da Dio fra gli uomini sostenuto dai Giudei di Gerusalemme e quello spirituale che la corrente religiosa aveva idealizzato, attraverso le influenze ricevute dai Culti dei Misteri pagani, in un essere celeste che, in qualità di “Maestro di Giustizia”, sarebbe disceso dal cielo per insegnargli la morale da seguire per pervenire alla vittoria finale sui nemici di Dio, rappresentati dai seguaci delle religioni pagane.
Non potendo cedere nessuna delle due correnti il proprio per adottare quello dell'altra, i rivoluzionari giunsero al compromesso di costruirsi quel Messia bicefalo di cui si parla nei libri dei Maccabei che è rappresentato nella parte del Messia guerriero discendente della stirpe di Davide dagli stessi figli di Mattatia che come condottieri dell'armata giudaica si avvicendano in un susseguirsi di battaglie e di trionfi nella convinzione di esserne ciascuno la realizzazione, quali Giuda, Gionata e Simone, e nella parte del Messia spirituale da quelle apparizioni apocalittiche che appaiono nel cielo durante le battaglie sotto forma di un cavallo dalla splendida bardatura montato da un cavaliere rivestito di un'armatura d'oro e da angeli di “splendida bellezza” che infondono coraggio ai combattenti. (II Mac. 11,8; II Mac.10,29).
Una pattuita simbiosi tra il cielo e la terra, cioè tra religione e politica, che gli ebrei realizzarono, per la prima volta nella loro storia, investendo Giuda, figlio primogenito di Mattatia, delle due cariche che fino ad allora erano state sempre separate, quella di Sommo Sacerdote e Capo dell'esercito .
Questa duplice autorità, che investi Giuda di pieni poteri teocratici, passando per i suoi fratelli Gionata e Simone, e poi per Giovanni, figlio di Simone, si trasmise per un diritto di eredità che gli veniva dalla stirpe di Davide, confermato in più dall'istituzione di quella casta degli Asmonei fondata da Simone, nei suoi discendenti, Aristobulo I, Aristobulo II e Ircano II fratelli, fino a giungere a quell'Ezechia che, secondo Giuseppe Flavio, si oppose con i suoi rivoluzionari ai romani allorché Pompeo nel 63 a.C. invase la Palestina con le sue legioni.
L'inserimento della corrente spiritualista nel movimento rivoluzionario comportò un'elevazione dei concetti religiosi in tutto il mondo giudaico il quale, lasciato il Dio tradizionale e obsoleto che nella Bibbia veniva considerato come un caporale che passeggia tra le tende della truppa per controllare dove vengono gettati gli escrementi (Dt. 23,13), adottò quello degli Asidei, cioè quel Dio sovrannaturale che gli spiritualisti avevano a loro volta assimilato dai Culti dei Misteri praticati dai popoli pagani. Infatti è durante la rivolta dei Maccabei che si parla per la prima volta nella storia ebraica di un Dio che apre agli uomini le porte dell'eternità attraverso una resurrezione dalla morte (II Mac.14,16) che permette l'accesso a un'altra vita come ci viene dimostrato dalla “madre dei sette fratelli” che esorta i propri figli ad affrontare sorridendo i loro carnefici perché sarà attraverso il martirio che essi acquisiranno i meriti per ritrovarsi tutti insieme nel giorno della misericordia, cioè della resurrezione dei morti. (II Mc. 7,28).
Gli Asidei ebbero una tale prevalenza in seno al movimento rivoluzionario da imporre ad esso il proprio nome tanto che lo stesso Giuda, lasciato l'appellativo di Maccabeo, si fece chiamare Giuda l‘Asideo.
La repressione praticata da Antioco IV contro i rivoltosi, morto lui, proseguì attraverso suoi i figli,Antioco V e AntiocoVI, in un continuo di battaglie fra i due eserciti e di reciproche ritorsioni e attentati eseguiti con atti di terrorismo da parte degli Asidei (Maccabei) e persecuzioni da parte degli ellenisti contro i sostenitori dei rivoluzionari che venivano sottoposti alle torture più atroci come ci viene riportato dalla stessa Bibbia nelle persone di Eleazaro e la madre di sette fratelli precedentemente già nominata. (II Mc. 6,18 e 7,1).
Finito il dominio ellenista in seguito alla conquista di Roma del Medio Oriente, la Palestina passò come protettorato sotto il controllo dell'autorità romana che aveva sede in Siria.
Il primo ad entrare in Palestina fu Pompeo che nel 63 la occupò con le sue legioni per sedare una guerra di successione al trono di Gerusalemme che era sorta tra i due fratelli Ircano II e Aristobulo II, figli di Aristobulo I diretto discendente della stirpe degli Asmonei fondata da Simone, figlio di Mattatia: <<I figli di Aristobulo e i suoi discendenti continuarono la lotta di rivendicazione al trono della Giudea contro IrcanoII>>. (Giuseppe Flavio, Ant. Giud.).
Pompeo, profanando il Tempio di Gerusalemme, si attirò subito l'odio degli ebrei e in particolare quello degli esseno-zeloti che, proseguendo nel programma degli loro predecessori Asidei, vedevano in lui, quale sostenitore di Erode, un nemico degli Asmonei che essi ritenevano essere i soli legittimi eredi del trono di Gerusalemme quali discendenti della stirpe di Davide attraverso la casta degli Asmonei.
È in questa resistenza armata contro i romani che compare la figura di un certo Ezechia che rivendica il trono di Gerusalemme quale discendente della casta degli Asmonei.
Organizzati e diretti da Ezechia, “medico e rabbino appartenente ad una famiglia facoltosa della regione del Golan” (Guerra Giud.), gli Asidei, che nel frattempo avevano preso il nome di esseni (vedi trasformazione del nome nella Favola di Cristo), attaccarono le guarnigioni romane, lasciate da Pompeo in Palestina, e i loro alleati rappresentati dagli erodiadi e i Sadducei.
Morto Ezechia nel 44 in uno scontro armato contro una pattuglia di Erode, il comando degli esseno-zeloti passò al figlio Giuda detto il Galileo che morì a sua volta nella guerra del censimento della quale aveva assunto il comando. (+6).
È verso la fine del I secolo a.C., cioè con la successione a Ezechia di Giuda il Galileo, che compaiono nella storia giudaica degli estremisti rivoluzionari che vengono chiamati zeloti (da “zelotes” che significa zelante) anche se molti sono gli argomenti che ci portano a sostenere che costoro esistessero già dal tempo della rivolta dei Maccabei per le troppe analogie che li unisce, quali le innumerevoli razzie e azioni di terrorismo tra le più nefande, di cui ci parla la stessa Bibbia a proposito delle pattuglie maccabee (I.Mc. 9,37), che sono le stesse che vengono attribuite da Giuseppe Flavio e Filone alle pattuglie zelote, e il nome stesso di zelota che non può che confermarci che il primo zelota fu proprio Mattatia che in un eccesso di “zelo”, parola da cui deriva questo nome, comportandosi da vero estremista, dette inizio alla rivolta uccidendo con un colpo di spada un sacerdote di Antioco IV che stava accingendosi a svolgere un rito pagano. (I Mc.2,24). Basta leggere con quanta insistenza Mattatia incita nel suo testamento i propri seguaci allo “Zelo” per renderci conto che l'estremismo zelota esisteva già dalla rivolta dei Maccabei. (I Mc.2,49).
E il comportamento dei Maccabei così espresso nella Bibbia: <<Il timore di Giuda e dei suoi fratelli cominciò presto a diffondersi e le genti intorno furono prese da terrore>> (IMc.3, 25) non è lo stesso del quale parlano gli storici riferendosi agli zeloti del tempo dei romani?: << Se gli zeloti non ricevevano quanto chiedevano, incendiavano le case dei signori che si rifiutavano e poi li uccidevano con le loro famiglie>>. ( Filone ).
<<Gli zeloti, distribuiti in squadre, saccheggiavano le case dei signori che poi uccidevano, e davano alle fiamme i villaggi sì che tutta la Giudea fu piena delle loro gesta efferate>> (Giuseppe Flavio).
I figli che subentrarono a Giuda il Galileo, figlio di Ezechia, nei nomi di Giovanni, Simone, Giacomo il Maggiore, Taddeo, Giuda, Giacomo il Minore e Menahem furono praticamente i fautori, quali pretendenti al trono di Gerusalemme, di tutti i disordini, rivolte e guerre che si succedettero in quel periodo che, compreso tra la guerra del censimento (+6) e la guerra giudaica (+70), determinò l'era messianica.
Il clima di terrore generato dall'odio dei rivoluzionari contro i romani fu ancora più rovente che quello che si era realizzato durante l'invasione ellenistica da parte di Antioco IV. Le rivolte, sostenute tra i guerriglieri di Gerusalemme e la corrente spiritualista, coinvolgendo tutte le comunità religiose extra palestinesi, si estesero di conseguenza su tutte le città dell'Impero, compresa Roma dove esisteva una colonia di ebrei sin dal tempo delle deportazioni operate al tempo di Giulio Cesare. Le nazioni ove maggiormente si verificarono disordini e rivolte furono l'Egitto e La Siria nelle città di Antiochia, Alessandria e Damasco che ospitavano comunità ebraiche eccezionalmente numerose. Si calcola che ad Alessandria ci fossero già altre cinquecentomila ebrei sin da prima della rivolta dei Maccabei. Saranno queste, come vedremo, le comunità che determineranno l'evoluzione religiosa essena che porterà al cristianesimo di Madre Chiesa.
Avendo compreso attraverso la guerra del censimento quanto fosse determinante la partecipazione popolare nelle rivolte, gli esseno-zeloti cercarono di coinvolgere le masse fomentando l'odio contro i Romani e i loro alleati presentandoli ad esse come i sostenitori delle ingiustizie sociali. Così, mentre i guerriglieri si addestravano nei centri di reclutamento (Kimbert-Qumran e la Galilea) per prepararsi alla guerra finale che avrebbe determinato la fine dei nemici di Dio, i Nazir cercavano di coinvolgere il popolo alla loro causa svolgevano una propaganda di proselitismo basata su prediche rivolte ai derelitti e ai perseguitati (discorso delle beatitudini) e sul battesimo garante di un vita eterna (Giovanni detto il Battista), e le comunità aprivano le porte a quanti volevano unirsi alla loro ideologia offrendo vitto e alloggio in cambio di un lavoro comunitario.
Nella certezza che con l'avvento del Messia sarebbero pervenuti a quella vittoria finale che li avrebbe resi padroni del mondo per quella convinzione che li aveva portati a credere che la costituzione dell'Impero fosse stata voluta da Dio per dare al suo popolo la possibilità di sostituirsi a Roma, i giudei, sotto l'incitamento degli esseno-zeloti, trasformarono l'Impero in un teatro di attentati e di rivolte che culminarono con quella guerra giudaica che determinò nel 70 la fine dell'era messianica con la morte di Menahem, ultimo figlio di Giuda il Galileo.
FATTI RELATIVI AL PRIMO SECOLO.
La repressione romana contro gli esseni, a differenza di quella di Antioco IV che aveva un carattere religioso, era essenzialmente di ordine sociale. Roma, favorevole come era alla realizzazione di un sincretismo che le avrebbe permesso di governare con più facilità il proprio Impero se tutti i popoli fossero stati riuniti sotto un unico dio (strategia che era stata già seguita precedentemente da Ciro il Grande e Alessandro il Macedone), non avrebbe mai contrastato l'ebraismo se questo avesse seguito come tutte le altre religioni un programma di estensione basato sul pacifismo.
L'imposizione che i romani facevano ai giudei di venerare l'immagine degli imperatori e di mangiare i cibi proibiti, non era fatta per imporre ad essi i culti pagani, ma soltanto per scoprire attraverso il loro rifiuto gli appartenenti al movimento rivoluzionario, come nei Vespri Siciliani se veniva imposto ai sospetti di pronunciare la parola “ceci” non era per insegnare la lingua italiana ma per scoprire attraverso la pronuncia se fossero francesi.
Con la stessa fede con la quale i loro padri avevano affrontato la morte nelle persecuzioni durante la rivolta contro gli ellenisti di Antioco IV, gli esseni andarono incontro agli aguzzini romani come ci viene testimoniato dal martirio di Stefano negli Atti degli Apostoli (At. 7), che è del tutto uguale ai supplizi di Eleazzaro e della madre dei sette fratelli dell'era maccabea (II Mc. 6,18 - 7,1), e da quanto Giuseppe Flavio scrive di essi: <<Gli Esseni disprezzano i pericoli e superano i dolori attraverso la riflessione. Quando giunge con gloria, considerano la morte migliore della vita. I loro spiriti, del resto furono sottoposti ad ogni genere di prove dalla guerra contro i romani, durante la quale furono contorti, stirati, bruciati e fratturati, fatti passare sotto ogni strumento di tortura, affinché bestemmiassero il loro Dio legislatore oppure mangiassero alcunché che la loro religione considerava illecito, ma rifiutarono ambedue le cose. Neppure adularono mai i loro tormentatori né mai piansero. Sorridendo tra gli spasimi e rivolgendosi ironicamente verso coloro che li torturavano, affrontavano la morte come coloro che stavano per riceverne un'altra.
Infatti è ben salda in loro l'opinione che i corpi sono corruttibili e instabile è la materia, mentre le anima vivono in eterno>>. (Guerra Giu. IV 57,62). (questa opinione sulla corruttibilità della materia prettamente essena, sarà ripresa, come vedremo, nella prima metà del II secolo dagli gnostici per costruire quel Cristo che, rimanendo essenzialmente spirituale, scenderà in terra prendendo dell'uomo soltanto le apparenze).
Entrambi, sia Stefano dell'era cristologica che Elezzaro e la madre dei sette fratelli, pur separati da due secoli, morirono per lo stesso Messia dalla duplice figura che gli avrebbe permesso di conquistare il mondo politicamente, come conduttore di eserciti, e spiritualmente attraverso una morale che si sarebbe imposta a tutte le altre religioni.
<<Per gli esseni tale escatologia si calava profondamente nella realtà sociale-politica della nazione ebraica, considerata depositaria di una funzione redentrice mondiale. Il tempo della visita corrispondente alla venuta del Messia di Aronne e d'Israele.
Infatti, come i documenti dimostrano, l'attesa degli esseni si rivolge non a uno, ma a due Messia: uno con la funzione politica, il Messia d'Israele, liberatore messianico e futuro re; l'altro, con una funzione religiosa, il Messia d'Aronne, maestro spirituale e sacerdote>>. (David Donnini - Cristo - Ed. Erre emme).
Per comprendere gli esseni nella loro organizzazione bisogna risalire ai Maccabei allorché Giuda, figlio di Mattatia, dopo aver preso il comando in seguito alla morte del padre, pianificò la rivolta nelle sue due componenti: la combattente guerriera e la componente di sostegno costituita dai loro familiari che doveva provvedere alla logistica e al reclutamento di proseliti attraverso la divulgazione della loro ideologia, come risulta dalla stessa Bibbia: <<Tutti coloro che insorsero contro gli editti di Antioco IV si radunarono dunque e vennero in Masfa di fronte a Gerusalemme, perché nei tempi antichi Masfa era stato luogo di preghiera in Israele. In quel giorno digiunarono, si sparsero la cenere sul capo e si stracciarono le vesti. Portarono le vesti sacerdotali, le primizie e le decime e fecero venire avanti i Nazirei che avevano compiuto i giorni del loro voto, e alzarono le mani al cielo gridando: <<che faremo di costoro e dove li condurremo, mentre il tuo santuario è conculcato e profanato e i tuoi sacerdoti sono in lutto e desolazione? Come potremo resistere di fronte ai pagani se tu non ci aiuterai? >>. Dopo di questo Giuda stabilì i condottieri del popolo, i comandanti di mille, di cento, di cinquanta e di dieci uomini e disse a coloro che costruivano case o che stavano per prendere moglie, a quelli che piantavano la vigna o che erano paurosi, di tornare a casa loro, secondo la legge>>,. (Mc. 3, 46). E fu secondo la legge, la legge dei loro padri, che coloro che furono rinviati a casa perché non idonei al combattimento, si riunirono formando quelle comunità che sosterranno poi il movimento rivoluzionario attraverso una militanza basata spiritualmente sulla preghiera ed economicamente sul versamento di denaro nelle casse comuni. Così, mentre l'esercito si rafforzava per i volontari che giungevano da tutte le nazioni, come ci riferisce la Bibbia a proposito di Giuda che “divenne celebre fino alle estremità della terra perché radunò tutti quelli che erano dispersi” (I Mc. 3,9), le comunità si confermavano nell'idea nazionalista attraverso una reciproca esortazione al rispetto delle comuni origini, come risulta dalle lettere inviate da Gerusalemme alle colonie ebraiche d'Egitto. ( II Mc. I e segg.).
Finita l'occupazione ellenistica, la lotta continuò contro l'invasore romano con un continuo di guerre, di rivolte, di azioni terroristiche in un fervore che andò sempre più aumentando dopo la destituzione di Archelao (+6) che, secondo la profezia di Giacobbe, annunciava l'imminente avvento di un liberatore inviato da Dio nella persona di Messia dalla duplice figura.
Ma, se l'essenza umana di questo Messia era rappresentata da un uomo scelto da Dio fra i discendenti della stirpe di Davide che i Giudei se lo attendevano venire dalla famiglia di Giuda il Galileo, figlio di Ezechia, quella divina, che durante la rivolta dei Maccabei si era manifestata attraverso visioni rappresentate da un cavaliere dal mantello dorato, chi era? Dove risiedeva? Quali origini aveva?
E ancora una volta, per soddisfare l'assurdo, i seguaci della Bibbia ricorsero all'intervento del soprannaturale individuandolo in colui che il profeta Isaia aveva visto un paio di secoli prima in una visione: <<Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile a figlio di uomo; giunse fino al vegliardo (Dio) e fu presentato a lui che gli diede potere, gloria e regno>>. (Dn.7,13).
Sarà su questo concetto di un Messia la cui figura è rapportata a “uno, simile a figlio di uomo”, che la scuola filosofica alessandrina, nella persona dell'ebreo Filone, filosofo e teologo, costruirà il suo Logos e gli gnostici s'inventeranno nel secondo secolo il loro Cristo, cioè quel Cristo che, “simile a figlio di uomo” svolgerà la sua missione di predicatore sulla Terra prendendo dell'uomo soltanto le apparenze.
È in questo mondo di contrasti sociali, di guerre e di rivolte determinati dall'attesa di un Messia liberatore sostenuta dai Giudei-esseni attraverso una visione, che verrà intromessa la figura di un Cristo predicatore che si farà morire nell'anno quindicesimo del regno di Tiberio, sotto Ponsio Pilato governatore della Giudea. Ma questo Messia, a cui è stato dato il nome di Gesù, di cui nessuno ne parla all'infuori dei testi sacri, è veramente esistito oppure fa di una costruzione storica completamente inventata? Lo scopriremo nei capitoli seguenti.
GLI ESSENI DOPO LA GUERRA DEL 70.
In un susseguirsi di attentati, azioni sovversive e rivoluzioni esseno-zelote e relative repressioni, da parte dei Romani, si giunse alla guerra del 66- 70 che con la sconfitta dell'esercito rivoluzionario e la morte di Menahem, figlio di Giuda il Galileo, ultimo discendente della stirpe degli Asmonei, pose termine all'era cristologica.
La guerra, promossa dai giudei per controversie di culto, dopo un alternarsi di vicende favorevoli e sfavorevoli ora all'una e ora all'altra parte, sembrò risolversi definitivamente a favore dell'esercito rivoluzionario.
I disordini che seguirono la morte di Nerone (+68) misero Roma in un tale stato di disordine e anarchia da costringere l'esercito, privo di direzione e di assistenza, a rifuggiarsi in Siria lasciando la Palestina in mano ai rivoluzionari. Fu in questo periodo che i Giudei, nella certezza di essere pervenuti a quella vittoria finale del bene contro il male considerata nel “Rotolo della Guerra”, celebrarono le esequie di Roma, la Babilonia del peccato e della corruzione, in quel libro che uscì nel 69 sotto il nome di Apocalisse (Rivelazione).
Ma le cose andarono diversamente; Adriano, succeduto a Galba, deciso di porre fine ai disordini della Palestina, inviò una potentissima armata al comando del figlio Tito. Gerusalemme, conquistata dopo un assedio di sei mesi, fu messa a ferro e fuoco, il Tempio raso al suolo.
Come conseguenza della sconfitta, le persecuzioni contro gli ebrei ripresero con rinnovato accanimento non solo in Giudea ma anche in tutte le nazioni dell'Impero in una vera e propria caccia all'uomo alla quale ai romani si unirono anche le popolazioni per quell'odio che in esse si era accumulato verso questa razza ritenuta capace di produrre soltanto guerre, disordini e stragi. In questo ambiente di astio collettivo che permetteva anche ai più vili di accanirsi contro i perseguitati, le masse popolari, forse ancor più dei romani stessi, si scagliarono con tanto furore contro chiunque apparteneva alla religione ebraica, da determinare un vero genocidio. Come in Siria, dove secondo gli storici del tempo ne furono massacrati altre centomila, così nelle altre città, quali Efeso, Alessandria, Antiochia e Damasco, le stragi si susseguirono in eccidi che spesso venivano eseguiti come pubblici spettacoli in anfiteatri o su patiboli eretti nelle piazze e nelle strade.
Tutte vittime che la Chiesa, sostituendosi agli Esseni, ha fatto passare fraudolentemente come martiri di un suo cristianesimo che, come sarà ampiamente dimostrato in seguito, ancora non esisteva.
Fu in seguito alla disfatta dell'esercito rivoluzionario che la corrente religiosa, riconfermandosi nella convinzione che le guerre e la violenza avrebbero portato soltanto lutti e dolore, lasciò definitivamente la figura del Messia guerriero davidico alla quale si era associata nella rivolta dei Maccabei, per ritornare nel suo monoteismo spirituale che prevedeva la conquista del mondo attraverso l'avvento di un Messia sacerdotale (Maestro di Giustizia).
I rivoluzionari, da parte loro, rimasti fedeli al Messia davidico, continuarono nel loro programma rivoluzionario finche, passando per la guerra del 74, organizzata anch'essa da un appartenente, sia pure in forma indiretta alla famiglia di Giuda il Galileo (Giuseppe Flavio afferma che era un parente di Menahem), di nome Eleazaro, non furono definitivamente eliminati nel 132-135 dall'imperatore Traiano in quella guerra nella quale morì Bar Kocheba, l'ultimo sedicente Messia. La distruzione di Gerusalemme fu così totale da essere paragonata dagli stessi ebrei a quella operata da Antioco IV che era stata preannunciata dal profeta Daniele con l'espressione di “abominio della desolazione”.
Gli esseni religiosi, ormai liberi dopo il 70 da ogni impegno precedentemente contratto con i rivoluzionari, ostentando un programma spirituale ancor più rigoroso di quello che avevano praticato nel passato, si fecero divulgatori di una ideologia che, libera da ogni coinvolgimento rivoluzionario, li facesse apparire come sostenitori di una religione che avrebbe posto fine all'odio, alle guerre per dare inizio ad un'era di pace e di benessere come risulta dai quattro capitoli dell'Apocalisse che furono da essi aggiunti nel 95 alla prima edizione del 68, quella edizione che uscita durante la guerra del 70 esprimeva invece un programma basato essenzialmente sulle stragi e sulla vendetta: << Vidi poi un nuovo cielo (è l'autore della corrente spiritualista che scrive) e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più (si riferisce al mare Mediterraneo nel quale i rivoluzionari vedevano affogarsi i romani e i loro alleati una volta buttati fuori dalla Palestina, dalla Siria e dall'Egitto). Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo... In mezzo alla piazza della città (Gerusalemme) e da una parte e dall'altra del fiume (Giordano) si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni>> (Dai capp. 21 e 22 che furono aggiunti nel 95 all'Apocalisse del 68, dagli esseni spiritualisti).
(Dall'espressione sopra riportata marcata in grassetto, esprimente un'abbondanza quanto mai scema e delirante, saranno poi ripresi, come vedremo, una parte di quei detti e sentenze che gli gnostici, quali Papia vescovo di Geropoli, attribuiranno ad un Gesù dichiarato esistito ma in forma del tutto spirituale).
Fu così che gli Esseni del dopo 70, atteggiandosi da pacifisti e da santi, proseguendo nel loro programma monoteista essenzialmente religioso, incrementarono il proselitismo aprendo le porte a quanti volevano convertirsi alla loro religione. Garantendo ai proseliti oltre il vitto, l'alloggio e la vita eterna anche la possibilità di sottrarsi ad ogni rivalsa che avrebbero potuto subire per reati comuni e politici attraverso l'acquisizione di un nuovo nome che gli veniva dato in seguito al battesimo, le comunità essene, come una legione straniera, divennero veri e propri centri di reclutamento per frustrati, falliti, visionari, avventurieri e criminali. L'afflusso di queste masse di diseredati provenienti per lo più dal mondo ellenista fu così imponente da portare le comunità essene ad adottare la lingua greca lasciando l'uso dell'ebraico soltanto per la celebrazione dei riti.
<<Fu in questo periodo, appunto perché nelle comunità essene del Medio Oriente e soprattutto in Alessandria d'Egitto gli ebrei erano arrivati a parlare solo in greco, che la Bibbia, detta dei 70, fu completata e tradotta in questa lingua contrariamente a quanto viene raccontato dalla Chiesa che la fa dipendere da un certo Tolomeo Filadelfo, re d'Egitto nel II secolo>>. ( Josif Kryevelev Calendario del Popolo. Ed. Teti).
Come conseguenza dell'adozione della lingua greca, l'appellativo di Messia, venne cambiato con la corrispondente traduzione greca di Cristos (Cristo): <<Il Messia lungamente atteso nell'atmosfera spirituale dell'ellenismo che si diffuse tra le comunità giudaiche della diaspora assunse notevole popolarità con il nome di Cristo. La parola Cristos significa in greco antico ciò che significa in ebraico la parola Mashiah: l'unto (dal greco crio, ungere)>>. (Josif Kryvelev. Op. cit. -8).
Per cui, come conseguenza, i seguaci del Messia-Cristos, furono chiamati cristiani, ma con un significato piuttosto dispregiativo: <<Il termine cristiano è nato in un ambiente non palestinese: è probabile che venisse usato in termine di ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere dagli ebrei della Sinagoga i nuovi convertiti, gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri “capelloni”>>. (A. Donini. Storia del Cristianesimo. Ed.Teti. pag. 29).
La conferma del disprezzo che suscitavano gli appartenenti a queste comunità esseno-cristiane, e non soltanto per una questione di trascurato abbigliamento ma anche per quella loro ideologia che, pur ostentandosi pacifica, si rifiutava di accettare l'autorità degli imperatori romani dichiarando che il vero loro padrone era soltanto Dio, ci viene dagli autori del tempo, quali Tacito e Plinio il Giovane, che li qualificano come seguaci di una religione perniciosa basata sulla superstizione.
In quel periodo di disordini, di povertà, di persecuzioni e di banditismo, coloro che si rifugiarono nelle comunità essene furono così numerosi da superare gli esseni originali: <<Le comunità della nuova religione si organizzarono in diverse località del vicino Oriente e in esse ebbero un ruolo sempre meno importante gli ebrei mentre assumevano maggiore rilievo, sia per numero che per influenza, i proseliti del variegato impero romano>>. (Josif. Kryvelev. Analisi Storico Critica della Bibbia -9 ).
Ed è su queste conversioni di pagani alle comunità essene che la Chiesa costruirà la propria storia attribuendole all'apostolato di Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo e di tutti gli altri discepoli che vengono dichiarati testimoni della vita di Cristo.
Ma per quanto la fede dei convertiti si cercasse di renderla salda ed omogenea attraverso l'obbedienza più assoluta alle regole delle comunità, non tardarono a sorgere nella massa eterogenea dei loro componenti, fatta di Giudei e di ex pagani, le divergenze concettuali su quel Messia (Cristos) la cui figura, rappresentata dall'astrattismo di una visione (Daniele), dava adito alle più svariate interpretazioni. La sua morale, era strettamente Mosaica, come sostenevano i giudei, o considerava l'esonero di alcune leggi imposte dal Pentateuco, come pretendevano i convertiti pagani? E sulle discussioni che ne derivarono per stabilire se doveva considerarsi obbligatorio o no circoncidersi, mangiare carni di animali immondi, concedere il battesimo agli eunuchi, escludere dalle cariche i deformi, ogni comunità si costruì un proprio Messia che cercò di imporre alle altre comunità attraverso i suoi predicatori come risulta dagli stessi testi sacri attraverso quei pochi passi che, per gli argomenti che trattano, si possono ritenere autentici anche se riferiti a personaggi del tutto immaginari.
Ci fu il Cristo di Paolo, di Apollo, di Pietro (I Cr.1,12), ci furono i Cristi di Balaam, della Sinagoga di Satana, della sacerdotessa Jezabele e del filosofo Nicola (Ap.II), e tanti altri Cristi che ogni predicatore dichiarava falsi per sostenere che soltanto il suo era quello vero (I Cor-1,12; II Cor. 11,14) come l'autore dell'Apocalisse che, in questa lizza generale, così ci presenta il suo: <<Simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto d'oro, con gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi di bronzo e la voce simile al fragore di grandi acque>> (Ap. 1,12).
Come si vede, considerando che questo passo è tratto dall'Apocalisse de 95, per tutto il primo secolo si è ancora nel pieno di immaginazioni e di visioni che escludono il Messia da ogni forma di incarnazione.
Il comportamento di questi esseni spirituali che si erano ritirati in preghiera nelle loro comunità, non poteva essere in realtà, quali seguaci di un monoteismo, che un'ipocrita ostentazione di pacifismo avente come unico scopo quello di accattivarsi la simpatia delle autorità e la fiducia delle masse. Come sepolcri imbiancati fuori ma con dentro nidi di serpenti, essi continuavano ad alimentare l'odio e la vendetta contro i loro nemici trasferendo in una dannazione eterna, basata su laghi di stagno fuso e di zolfo, come viene continuamente ripetuto nella loro Apocalisse del 95, quelle stragi che non potevano più realizzare con le armi. Il leone di Giuda, travestito d'agnello, conservava intatto tutto l'odio contro coloro che si opponevano al suo imperialismo, quell'imperialismo monoteista che nel suo concetto di dominio universale prevede di mettere tutti i suoi nemici a sgabello dei propri piedi.
Un esempio esplicativo di come essi conservassero la ferocia atavica che gli veniva dagli insegnamenti della Bibbia, il libro della vendetta e dell'odio, lo troviamo in quel passo degli Atti degli Apostoli nel quale Pietro detto Cefa, capo della comunità essena di Gerusalemme, uccide i due coniugi Anania e Saffira perché non avevano rispettato la regola che imponeva ai seguaci di versare alla comunità tutti gli averi di cui disponevano. (At. 5).
Un'altra testimonianza della ferocia che si nascondeva sotto il pacifismo ostentato dalle comunità spiritualiste essene ci viene da Ippolito Romano, scrittore cristiano del III seolo: <<Gli Esseni sono i divisi e non seguono le pratiche nella stessa maniera essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all'estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in città temendo di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri udendo discorrere qualcuno di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si fa circoncidere; qualora non lo consenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto per questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte>>.
Ma per quanto si adoprassero ad alimentare il fervore attraverso canti e preghiere tendenti a sollecitare la discesa dal cielo del loro Salvatore, un po' per quella fede che cominciò a vacillare verso un avvento che veniva sempre rinviato, (cosa per altro già accaduta nel III terzo secolo a.C., secondo quanto viene esposto dal libro di Giobbe che fu scritto appunto per esortare alla pazienza gli ebrei stanchi di attendere un Messia che non arrivava mai), e un pò perché si erano resi conto che non avrebbero mai potuto imporre la loro religione con un Messia il cui avvento era basato sull'astrattismo di una promessa, alle religioni pagane che proponevano Soteres che avevano già compiuto la loro missione salvatrice, decisero di costruirsene anch'essi uno che si già realizzato.
Ma dove trovare gli argomenti giustificativi per rendere credibile un evento che, oltre a non essere da nessuno conosciuto, era stato da loro stessi smentito attraverso quell'attesa che fino ad allora avevano sostenuto? E ancora una volta, ricorrendo alla gabala e alle predizioni dei profeti, imposero la loro verità invocando quella profezia nella quale Isaia, sette secoli prima, aveva previsto che il Messia sarebbe passato tra gli uomini senza essere riconosciuto: <<Egli (il Messia), dopo essere passato tra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello che viene condotto al mattatoio>> ( ). Anche se potrà sembrare incredibile, purtroppo è proprio così: sarà su questa profezia, sull'imposizione che ci viene da essa di accettare come compiuto un fatto che in realtà non è mai accaduto, che sarà costruita, come vedremo in seguito, tutta la storia di un Salvatore gnostico che fornirà le basi per costruire la figura di un Gesù incarnato.
GLI ESSENI
Conoscere gli Esseni, quella casta ebraica che la Chiesa a cercato di cancellare dalla storia per sostituirsi ad essa, è quanto mai determinante per sapere chi sono in realtà quei cristiani ai quali fanno riferimento alcuni degli scrittori dell'epoca quali Giuseppe Flavio, Filone, Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane.
Filone, filosofo ebreo nato ad Alessandria d'Egitto, una delle città nelle quali maggiormente si svilupparono i concetti spirituali esseni, così scrive di essi: <<La prima cosa sugli Esseni è che essi abitano in villaggi, fuggendo dalle città a motivo delle empietà che in esse si commettono dagli abitanti, ben sapendo che la loro compagnia avrebbe un effetto deleterio sulle loro anime come una malattia portata da un'atmosfera pestilenziale. Tra di loro alcuni lavorano la terra, altri esercitano mestieri diversi e tutti cooperano alla pace rendendosi utili a se stessi e al loro prossimo. Non ammassano argento e oro, né si appropriano di vaste tenute con il desiderio di trarne vantaggio, ma semplicemente per procurarsi il necessario per vivere.
Vivendo senza beni né possedimenti, per loro libera elezione e non per conseguenza di una cattiva sorte, si giudicano straordinariamente ricchi, giacché ritengono che la frugalità accettata con gioia sia di per se un sovrabbondante benessere.
Tra di loro invano si cercherebbe un fabbricante di frecce, di giavellotti, di spade, di elmi e di corazze o di qualsiasi strumento di guerra o di altri oggetti che, sia pur pacifici potrebbero essere usati per far male. Respingendo tutto ciò che potrebbe eccitare la loro cupidigia, neppure pensano di seguire la benché minima idea di commercio o di navigazione.
Fra di loro non esistono schiavi, tutti sono liberi e si aiutano vicendevolmente. Non solo condannano i padroni come ingiusti perché ledono l'uguaglianza, ma anche come empi poiché violano la legge naturale che ha generato e nutrito tutti gli uomini allo stesso modo, come una madre, facendone veramente dei fratelli, non di nome, ma nella realtà. Questa parentela fu lesa dalla cupidigia che le ha inferto colpi mortali, mettendo l'inimicizia al posto dell'affetto, l'odio al posto dell'amore. (Questi principi comunisti, che poi saranno fatti propri dai cristiani, furono alla base del successo che riscossero le comunità essene da parte dei diseredati che si unirono a loro. Il Sermone della Montagna, che veniva predicato dai Nazir esseni, poi riportato nei vangeli canonici, ne esprimeva sostanzialmente tutti i concetti).
<<Studiano con grande impegno il comportamento morale servendosi costantemente delle leggi dei loro padri, quelle leggi che l'anima umana non avrebbe potuto concepire senza una divina ispirazione. (In questa frase di Filone si può comprendere l'evoluzione religiosa che ha portato i giudei esseni a seguire i principi spiritualistici pagani pur conservando come base della loro vita sociale le leggi ebraiche del Pentateuco -Thora-).
<<In queste leggi s'istruiscono in ogni tempo, ma soprattutto nel settimo giorno. Il settimo giorno è considerato sacro e in esso si astengono da tutte le altre occupazioni per radunarsi in luoghi sacri che chiamano sinagoghe.
Generalmente, tra di loro l'insegnamento è impartito per mezzo di simboli secondo un'antica tradizione. (Gabala).
Prima di tutto non v'è alcuna casa che sia di proprietà di una persona: ogni casa è di tutti. Giacché al fatto che abitano in confraternite, la loro casa è aperta a tutti i visitatori, da qualsiasi parte giungano, che condividono le loro convinzioni.
In secondo luogo hanno una cassa per tutti e le spese sono comuni: in comune sono i vestiti, in comune è preso il vitto, avendo essi adottato l'uso dei pasti in comune . ( Questi pasti in comune, detti “Agapi” o “fractio panis”, venivano praticati dagli esseni per imitare, ripeto, “soltanto imitare” nella forma più esteriore quei riti pagani nei quali veniva celebrato il sacramento dell'Eucaristia). (confr.I Cor. 11,20).
<<Una maggiore realizzazione dello stesso tetto, dello stesso genere di vita e della stessa mensa invano si cercherebbe altrove. Giacche tutto ciò che ricevono come salario giornaliero del lavoro non lo conservano in proprio, ma lo depongono nel fondo comune, affinché sia impiegato a beneficio di tutti quanti desiderano servirsene. (Filone. Quod omnis probus sit liber).
Giuseppe Flavio.
Giuseppe Flavio, storico contemporaneo, figlio di un sacerdote ebreo e lui abilitato alla celebrazione dei culti, dopo aver partecipato alla guerra del 70 come ufficiale dell'esercito rivoluzionario, fatto prigioniero in Galilea, fu portato a Roma dove scrisse su ordinazione dei romani la storia del popolo ebraico in due volumi, La Guerra Giudaica e Antichità Giudaiche, nei quali cercò di dimostrare che l'ebraismo era superiore alle religioni pagane, così parla degli Esseni.
<<Gli esseni in particolare hanno fama di praticare la virtù. Ebrei di nascita, sono più degli altri legati da mutuo affetto.
Costoro respingono i piaceri come male, mentre guardano come virtù la temperanza e il non cedere alle passioni. Per se stessi sdegnano il matrimonio, ma adottano i figli altrui mentre sono ancora arrendevoli ai loro ammaestramenti. Li considerano come parenti e li modellano secondo i loro costumi. Essi non aboliscono però il matrimonio e la propagazione della specie che da esso ne deriva ma si guardano dalle donne licenziose e sono persuasi che nessuna serbi fedeltà a un uomo solo.
Dispregiatori della ricchezza, è presso di loro ammirevole la vita comunitaria. Invano si cercherebbe tra essi qualcuno che possegga più degli altri. C'è infatti una legge che impone a quelli che entrano di cedere il proprio patrimonio alla corporazione in maniera che in nessuno di essi non possa apparire l'umiliazione della miseria o l'alterigia della ricchezza, ma un'uguaglianza che li renda fratelli.
Non abitano in una sola città, ma in varie città prendono domicilio in molti. Ai membri della setta che giungono da fuori concedono libero uso di tutte le loro cose come se fossero essi proprietari. Per questo, quando compiono i viaggi, non portano con se assolutamente nulla eccetto quelle armi che gli servono per difendersi dai briganti. Del resto in ogni città viene eletto un commissario della corporazione per gli ospiti che provvede ai vestiti e ai viveri.
Quanto al vestire e al comportamento essi assomigliano a giovani bene educati sotto rigorosa disciplina; non cambiano né vestiti né sandali se prima non sono del tutto consumati e lacerati dal tempo. Fra di loro non comprano e non vendono alcunché, bensì ciascuno cede il suo a chi ne ha bisogno, e ne riporta in cambio qualcosa che gli serve. La loro pietà verso la divinità ha una forma particolare: prima del sorgere del sole non proferiscono alcunché di profano, ma recitano dette preghiere verso di esso quasi a supplicarlo di spuntare.
Dopo di ciò ognuno è invitato dai sovrintendenti al mestiere che esercita a recarsi al lavoro. Dopo aver lavorato energicamente fino all'ora quinta ( le 14), si radunano e cintisi di un indumento di lino si lavano il corpo con acqua fredda. Dopo questa purificazione, vanno in un edificio particolare dove non è permesso di entrare a nessuno che non sia della loro fede.
Dopo che si sono seduti in silenzio, il panettiere serve i pani per ordine e il cuciniere distribuisce a ciascuno una sola vivanda. Il sacerdote premette al pasto una preghiera, e nessuno può iniziare a mangiare prima che essa sia finita. Dopo aver mangiato aggiunge un'altra preghiera in maniera che Dio sia venerato come dispensatore di vita sia all'inizio che alla fine del pasto. Deposte le vesti che avevano indossato per il pasto, dato che esse sono sacre, tornano nuovamente al lavoro fino alla sera. La cena si svolge come il pranzo ed è in essa che si uniscono a loro gli ospiti di passaggio.
Sono dominatori dell'ira, moderatori delle passioni, padrini della fedeltà, promotori della pace.
Dando ad ogni loro affermazione il valore di un giuramento, si astengono dal giurare nella convinzione che il giuramento sia di per se peggiore dello spergiuro dal momento che si prende Dio come testimone per essere creduto. Hanno una cura straordinaria degli scritti antichi, scegliendo principalmente quelli che riguardano il profitto dell'anima e del corpo. Studiano come guarire le malattie attraverso le radici e le pietre.
Coloro che chiedono l'accesso alla setta non ne ottengono il consenso immediato. Al postulante impongono per un anno la stessa disciplina dopo avergli consegnato una piccola scure, la cintura sopra menzionata e una veste bianca. Se il novizio avrà dato prova di virtù, allora viene promosso ad un grado superiore attraverso un ulteriore lavaggio (di cervello. n.p.) eseguito con acque considerate più pure. Sarà accolto nella società con tutti i diritti (quali diritti possono avere degli uomini ridotti alla schiavitù dal plagio?) dopo due anni se si sarà dimostrato degno di farne parte.
Disprezzano i pericoli e superano i doloro attraverso la riflessione. Quando giunge con gloria, considerano la morte migliore della vita. I loro spiriti, del resto, furono sottoposti ad ogni genere di prove dalla guerra contro i romani, durante la quale furono contorti, bruciati e fratturati, fatti passare sotto ogni strumento di tortura, affinché bestemmiassero il loro Dio legislatore oppure mangiassero alcunché che la loro religione considerava illecito, ma rifiutarono ambedue le cose. Neppure adularono mai i loro tormentatori né mai piansero.
Sorridendo, anzi, tra gli spasimi e rivolgendosi ironicamente verso coloro che lo torturavano, affrontavano la morte come coloro che stavano per riceverne un'altra. (Sono questi quegli essenti che la Chiesa ha cercato in tutti i modo di far sparire dalla storia per poterci mettere al loro posto i suoi fantomatici martiri cristiani).
Infatti, è ben salda in loro l'opinione che i corpi sono corruttibili e instabile è la materia, mentre le anime vivono in eterno. (Sarà su questo principio di corruttibilità della materia che non può addirsi a un dio, che gli esseni gnostici costruiranno nel II secolo un Salvatore disceso sulla terra prendendo dell'uomo soltanto le apparenze).
<<Esiste pure un altro gruppo di Esseni che per genere di vita, per abitudine e per legislazione dissentono dagli altri sulla questione del matrimonio. Ritengono infatti coloro che non si sposano recidano una parte importantissima della vita, e cioè la propagazione della specie, tanto che se tutti adottassero la stessa opinione favorevole al celibato ben presto scomparirebbe il genere umano (Guerra Giud. cap.IV. pag. 57).
Filone e Giuseppe Flavio, entrambi ebrei, erano essi stessi degli esseni spiritualisti? Tutto fa supporre di si da come hanno cercato di farli passare per persone spirituali e pacifiche per separarli dai quei rivoluzionari che in altri passi hanno trattato da criminali terroristi. Supposizione questa che trova anche conforto da quel viaggio che fece Filone nel 52 per recarsi a Roma col fine di intercedere pietà presso l'imperatore Claudio riguardo le persecuzioni contro gli Esseni. (Il risultato fu nullo).
Il motivo per cui sono stati riportati questi due passi è quello di dimostrare, attraverso un confronto che si farà più avanti con i testi sacri, la non esistenza dei cristiani nostrani in quel periodo del primo secolo nel quale sono stati introdotti dalla Chiesa come testimoni del suo primo cristianesimo.
L'Apocalisse
Da chi e quando è stata scritta l'Apocalisse? Cosa esprime l'Apocalisse?
Secondo la Chiesa, “l'Apocalisse, dal greco “Rivelazione”, è stata scritta dal discepolo Giovanni, lo stesso autore del IV vangelo, negli anni 94-95 nell'isola di Patmos (Grecia) durante le persecuzioni contro i cristiani operate dall'Imperatore Domiziano. Essa esprime, attraverso la rivelazione da parte di un angelo a Giovanni l'evangelista, la certezza della vittoria finale di Cristo sulle potenze del male”. (Bibbia ed. C.E.I.)
Lasciando ogni commento sul significato abusivo e fazioso che la Chiesa attribuisce a questo libro, che non è nostra intenzione entrare in discussioni fideistiche, passiamo all'esame di questo libro considerando esclusivamente quei presupposti che possono essere trattati in un processo laico, quali quelli dipendenti esclusivamente dalla ragione e da una controllabile documentazione storica.
Il libro dell'Apocalisse, composto di 22 capitoli, è stata scritta in realtà in due edizioni, la prima costituita da 18 capitoli, uscita nel 68 durante la guerra del 70, e la seconda, rappresentata dai primi tre capitolo e dall'ultimo, che fu aggiunti nel 95 dagli spiritualisti. Come è logico che fosse, mentre i primi 18, scritti dai rivoluzionari, sono l'espressione del programma guerriero zelota basato sull'odio e la vendetta contro Roma e i suoi alleati, i secondi quattro, scritti dagli esseni spiritualisti, rappresentano tutto il pacifismo di cui costoro si erano fatti ostentatori dopo la scissione dalla corrente rivoluzionaria.
L'Apocalisse, guardata dalla Chiesa sempre con diffidenza per i suoi concetti esseno-zeloti, tanto da essere inclusa nei testi canonici soltanto nel VI secolo, è dei libri sacri quello che più di ogni altro dimostra la non esistenza storica di Gesù.
In entrambe le edizioni, sia in quella del 68 come in quella del 95, si ignora tutto della vita di Cristo e della sua morte. Il Messia dell'Apocalisse risiede ancora in cielo, presso il trono di Dio, e quando in un suo capitolo (XII) si parla della sua nascita lo si fa concepire dalla costellazione della Vergine all'origine dei tempi e, sempre rimanendo nel mondo dell'astrologia, il Messia dell'Apocalisse è rappresentato in cielo sotto la forma dell'Ariete, primo segno dello zodiaco che comanda i destini del mondo, al quale viene simbolicamente associato l'agnello pasquale biblico dell'Esodo. La discesa del Messia, che si realizzerà, secondo le visioni riportate dal libro dei Maccabei, nella persona di un condottiero vittorioso su un cavallo bianco al suono di trombette, annunciata come prossima, non ha nulla a che vedere con la Passione di Cristo dichiara avvenuta nel 33: lontano dal morire in croce, egli sterminerà i nemici per sedere su un trono che durerà mille anni. La Chiesa cerca di dare a questa immagine dei mille anni, come viene detto dalla C.E.I nel passo introduttivo sopra riportato, il valore simbolico di un messaggio di speranza nella vittoria finale del Cristo sulle potenze del male, ma basta leggere bene l'Apocalisse per renderci conto che la distruzione di Roma, simbolo della corruzione, è annunciata come un fatto reale e non come una profezia.
“Il Messia atteso nell'Apocalisse è il “Figlio dell'uomo” della visione di Daniele. Lontano dal morire in croce, egli è colui che stabilirà l'impero giudaico sulle rovine di Roma che non sono procrastinate ad un'epoca lontana e futura, ma previste così imminenti da rendere assurda ogni altra interpretazione. E l'autore, che ha ripreso questo messaggio nel 95, non contraddice affatto l'attesa espressa dall'edizione del 68, facendo terminare l'opera su questa promessa da parte del Messia: <<Si. io verrò presto>>, al che l'autore rispondendo :<<Venite, Signore, venite!>>, dimostra di ignorare che egli sia già venuto sotto un'altra forma”. (Guy Fau. op. cit. pag. 60).
Come si vede, l'Apocalisse non è che un'ulteriore prova confermante che nel primo secolo, almeno fino al 95, lontano da ogni forma d'incarnazione, il Cristo è ancora rappresentato sotto forma di sogni e di visioni.
<<L'Apocalisse non è l'espressione di un solo libro, ma di diversi, di molti. Non tuttavia unioni di vari frammenti, come per addizione di libri diversi, come Enoch, ma piuttosto di un libro solo, formato da diverse stratificazioni, come quelle di varie civiltà quando si scavi al fondo di un'antica città. Dopo una prima rielaborazione di uno scrittore ebraico di Apocalissi, e dopo altre aggiunte, ebbe la sua versione definitiva ad opera di Giovanni, il giudeo cristiano, e dopo queste stagioni storiche il libro fu ancora rimaneggiato e corretto, con aggiunte e ancellature, da editori che volevano che l'opera diventasse cristiana.
Restiamo comunque perplessi, poiché se Giovanni terminò la sua Apocalisse nel 96 d.C., è davvero strano che egli nulla sapesse della leggenda di Gesù, che nulla avesse assimilato dello spirito dei Vangeli, tutti momenti precedenti al suo testo. Strana figura, questo Giovanni di Patmos, chiunque egli fosse>>. (D. H. Lawrens - Apocalisse- Tasc. Newton, pag. 38).
...e ancora:
<<L'Apocalisse è un'opera di guerra, un ardente richiamo dei Giudei contro l'occupante romano detestato. La discesa del Messia, annunciata come prossima, non ha nulla a che vedere con una passione già vissuta: lontano dal morire in croce, il Salvatore vincitore è visto come uno sterminatore di nemici prima che possa sedere sul suo regno terrestre di mille anni. Si cerca oggi di farci ammettere che le immagini sono simboliche, ma la distruzione di Roma, ricordando quella di Babilonia, è annunciata come reale. Dopo la descrizione del grande massacro, l'opera, terminando con la promessa che fa il Salvatore di venire presto, esclude nella maniera più categorica che egli, il Cristo, sia già venuto. Tutta l'Apocalisse ignora del cristianesimo; l'agnello non è messo a morte sotto Pilato ma è immolato “dalla creazione del mondo” (XIII-8) secondo un rito di valore permanente ebraico e non per un fatto storico. Siamo alla fine della seconda metà del primo secolo e Cristo, lontano da ogni riferimento storico, è sostenuto nell'Apocalisse, come negli Atti degli Apostoli, esclusivamente da visioni>>. (Guy Fau. op. cit. pag. 60).
Il silenzio dell'Apocalisse su ogni riferimento storico della vita di Cristo, l'ignoranza più assoluta da parte dell'autore su Pilato, Caifa, i miracoli e quei terremoti che scossero la terra alla sua morte, sono la dimostrazione più chiara che tutto ciò che è stato su scritto su Gesù non è che una favola, per giunta, anche mal raccontata.
Per quanto riguarda poi la datazione del 95 data dalla Chiesa a tutta l'Apocalisse, siamo di fronte ad un altro falso storico secondo quanto ha inconfutabilmente dimostrato Engels confermando l'uscita della prima edizione agli anni 68-69.
Ma prima di passare alla dimostrazione di Engels, è bene fare un breve riepilogo dei fatti che precedettero la sua redazione.
La morte di Nerone, avvenuta per suicidio nell'anno 68, gettò Roma in uno stato di tale anarchia e di disordine da costringere le legioni impegnate nella guerra contro i rivoluzionari a ritirarsi in Siria lasciando campo libero all'esercito giudeo esseno-zelota.
I Giudei sicuri di essere pervenuti alla vittoria finale, già si vedendosi padroni dell'Impero e quindi del mondo, sfogano nel libro tutto il loro rancore contro Roma, la Babilonia della corruzione, e contro tutti i nemici di Dio annunciando un programma di odio, di vendetta e di stragi.
A Nerone succedette Galba, ma sotto il suo regno incerto della durata di sei-sette mesi compresi tra il giugno del 68 e il gennaio del 69, la situazione di disgregazione delle istituzione dello Stato addirittura peggiorò per una voce che cominciò a circolare secondo la quale veniva dato per certo che Nerone, dichiarato suicida, non era morto come si credeva ma che stesse preparando un esercito per riconquistare il trono.
<<In effetti, dopo l'insediamento di Galba al trono di Roma, ben presto fece la sua comparsa un personaggio che affermava di essere Nerone e che per un certo tempo combatté per il potere ma fu sconfitto>>. (Josif Kryvelev. L'Apoalisse. 8)
Fatta questa brevissima premessa, leggiamo ora il passo dal quale Engels ha tratto la data esatta nella quale fu scritta l'Apocalisse: “L'angelo mi trasportò in spirito nel deserto (è l'autore che parla seguendo la sua visione). Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro e di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: <<Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra>>. A vederla fui preso da grande stupore. Ma l'angelo mi disse: perché ti meravigli? Io ti spiegherò il mistero della donna e della bestia che la porta, con sette teste e dieci corna. La bestia che hai visto, ma che non esiste più salirà dall'abisso ma per andare in perdizione. E gli abitanti della terra stupiranno al vedere che la bestia che non era e non è più, riapparirà. Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna e sono anche i sette re. I primi cinque sono caduti (Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone), ne resta ancora uno in vita (Galba), l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco.
Quando la bestia che era e non è più (continua a spiegare l'angelo), il re che dovrà venire anche se figura come ottavo rimane comunque il settimo, ma va in perdizione”.
Perché il successore di Galba potrebbe apparire come ottavo anche se in realtà è il settimo? Perché Nerone, riprendendo il trono secondo quanto si diceva, appare come una doppia figura rappresentando un imperatore già annoverato tra quelli caduti.
Che Nerone sia la settima testa ce lo conferma lo stesso autore dell'Apocalisse allorché, riferendosi al suo presunto suicidio, così scrive: <<Una delle sette teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita>>. (Ap.13-3).
Un'ulteriore prova confermante che il settimo imperatore, cioè quello che succederà a Galba, è Nerone ci viene ancora dalla stesso autore dell'Apocalisse allorché ci dice che il suo nome corrisponde al numero 666: <<Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: esso rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei>> (Ap. 13-18).
L'interpretazione di questo numero, ricavata da Ferdinand Bernari, professore berlinese le cui lezioni furono seguite da Engels, secondo la simbologia numerica ebraica corrisponde esattamente a “Nerone Imperatore”. Il calcolo eseguito da Ferdinand Bernari trova conferma nello stesso Ireneo, Padre della Chiesa, che nel libro “Contro le Eresie” indica l'Imperatore Nerone con il numero 616. Perché questa differenza? Per il semplice fatto che Ireneo fece il calcolo sul testo scritto in latino, dove il nome Nerone, scritto in greco Neron, diventa Nero. Cadendo la lettera N, che nella simbologia ebraica corrisponde a 50, il conto e bello che fatto: 666-50= 616.
Dunque, se l'Apocalisse è stata scritta mentre regnava Galba, cioè nel periodo compreso tra il quinto imperatore che era stato Nerone morto suicida e il settimo imperatore, previsto nella persona dello stesso Nerone redivivo, e sapendo che Galba ha regnato dal giugno del 68 al gennaio del 69, come conseguenza l'Apocalisse non può essere stata scritta chi in questo periodo e non nel 95 come sostiene la Chiesa, e neppure essere stata redatta da Giovanni l'evangelista nell'Isola di Patmos ma dai rivoluzionari in Giudea durante la guerra del 70.
Che i Giudei fossero sicuri della vittoria sui romani ci viene confermato da Eleazaro allorché nel discorso di Masada, riferendosi alla disfatta del 70, la definisce una “sconfitta inaspettata”. (Guerra Giudaica. cap.8).
La Chiesa, per giustificare il 95 come data da lei assegnata all'Apocalisse, così commenta il passo dal quale Engels ha tratto la sua conclusione: <<Sette re, cioè gl'imperi di Augusto, Tiberio, Caligola, Nerone e Domiziano, che esisteva ancora al tempo di Giovanni. Il poco tempo è il tempo della persecuzione e il settimo impero è il dominio ostile al regno di Dio, identificato con la fiera>>. (Nota a pag 7 dell'Ap. ed. CEI).
Praticamente, pur di giustificare il 95 come anno in cui fu scritta tutta l'Apocalisse, ignorando gl'imperatori Galba, Vespasiano e Tito, la Chiesa fa fare un volo alla testa della bestia numero 5 di ben 25 anni per metterla sulle spalle di Domiziano che viene considerato come il sesto imperatore. E la settima testa? La settima testa la ottiene trasformando il redivivo Nerone in “un Impero ostile al regno di Dio” che incoerentemente viene identificato con l'intera bestia.
Perché la Chiesa insiste ad attribuire all'Apocalisse la data del 95? La risposta è semplice: se riconoscesse che è stata scritta nel 68, tutta la seconda parte riguardante Gesù, cioè i 4 capitoli aggiunti, risulterebbe troppo evidentemente un falso per l'anacronismo esistente tra i concetti espressi nel “Saluto alle sette chiese” nei cap. 1 -2 -3, quali quello dei Nicolaidi, che ancora non esistevano nel 68. Per cui, non potendo retrodatare l'Apocalisse del 95 al 68, l'ha posdata tutta al 95.
Ma in fondo, cosa potrebbe cambiare in ciò che riguarda l'esistenza storica di Gesù anche se l'Apocalisse fosse stata scritta tutta nel 95, dal momento che essa esclude nel suo intero nella maniera più categorica ogni riferimento ad una sua vita terrestre?
L'Apocalisse è un'opera di guerra che ripete nella maniera più fedele il programma di sterminio di Roma esposto dagli esseno-zeloti nel “Rotolo della Guerra” ritrovato negli scavi di Qumran nel 1947. Essa ignora nella maniera più assoluta tutto ciò che è stato attribuito a Cristo. Ignora Pilato, la crocifissione, i miracoli, la resurrezione, gli apostoli. Essa, disconoscendo tutti gli altri libri sacri che si riferiscono al cristianesimo, oltre che ha dimostrare la sua natura giudeo-essena, conferma che i vangeli, gli Atti degli apostoli e le lettere che la Chiesa afferma esserle contemporanei, non sono state scritte nel primo secolo ma in date, come vedremo, molto più tardive.
Il Messia dell'Apocalisse è un condottiero sterminatore di nemici che dovrà instaurare un regno giudaico che durerà mille anni. Lontana da ogni forma simbolica attribuitale dalla Chiesa quale annunciatrice di una vittoria di Cristo sulle potenze del male procrastinata alla fine dei tempi, l'Apocalisse parla nella maniera più chiara della distruzione dei nemici di Dio in una maniera così prossima e reale da considerarla come se si fosse già compiuta.
Come si può pretendere che l'Apocalisse sostenga l'esistenza storica di Gesù quando, sollecitandone la sua discesa dal cielo, la nega nella maniera più assoluta? (Ap. 22,10).
L'Apocalisse è un libro di guerra, un ardente appello alla lotta contro l'occupante romano, un libro di odio e di vendetta che esclude ogni significato di amore e di pace che si è voluto attribuire alla morale predicata da Cristo.
Il Messia atteso nell'Apocalisse è il “Figlio dell'uomo” di Daniele. Estraneo ad ogni morte di croce, egli è destinato a stabilire l'impero giudeo sulle rovine di Roma.
Facendo una comparazione tra le due opere che la Chiesa attribuisce all'apostolo Giovanni, non possiamo trarre che un ulteriore conferma dell'inesistenza storica di Gesù dal momento che l'una esclude l'altra se consideriamo che nell'Apocalisse il Cristo deve ancora discendere mentre nel IV vangelo viene sostenuto incarnato, nato da una donna terrena che non ha nulla a che vedere con la costellazione della Vergine.
Se a questo punto mi si facesse rimarcare, come già è accaduto, che l'Apocalisse conferma l'esistenza di Gesù nel primo secolo perché essa riporta il suo nome tre volte (le hanno contate), ebbene non posso che rispondere che anche se le volte fossero state cinquanta o cento, a parte il fatto che nulla potrebbe cambiare di fronte alle prove portate, il nome di Gesù era largamente usato dagli Essenti nel significato biblico di Jeosua (Giosué) che significa “colui che salva“ che chiaramente si riferisce al “Maestro di Giustizia” atteso dagli Esseni.
Infatti il nome di Gesù lo troviamo nel suo significato di umanizzazione che gli ha dato Madre Chiesa, per la prima volta nel “Discorso Veritiero“ scritto da Celso nel 180 attraverso la confutazione che ne fa Origene riportandone il passo: << Colui al quale avete dato il nome di Gesù Cristo in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti in seguito alle critiche che vi venivano portate>>. (Celso. Discorso Veritiero).
In questa diatriba tra Celso e Origene, quello che ancora interessa, oltre all'accusa mossa contro i cristiani di aver dato il nome di Gesù al capo di una bandi Briganti, è il fatto che Origene in essa non difendeva l'esistenza storica di Gesù ma soltanto il fatto che egli venisse associato ad un capo di briganti, dal momento che egli quale gnostico lo sosteneva soltanto nella sua realizzazione di predicatore che aveva svolto la sua missione prendendo dell'uomo soltanto le apparenze, da quanto ci viene confermato dal Patriarca Fozio che ci dà per certo che S.Clemente e il suo discepolo Origene morto nel 254, negano l'incarnazione di Cristo e di conseguenza la sua figura storica di uomo: <<Il Patriarca Fozio, vissuto nel IX secolo (827- 97), quando ormai la Chiesa aveva i suoi dogmi e non si poteva più seguire quella libertà di studio e di espressione che troviamo nei libri di matrice cristiana del II e III secolo, parlando del libro delle dispute di S. Clemente (160-220), afferma che s. Clemete aveva sostenuto che il Logos non si era mai incarnato (Pag. 286, in Ganeval, cap. II e III); e parlando dei quattro libri sui “Principi” di Origene, ci fa sapere che Origene parlava del “Cresto” - come egli lo chiamava - secondo la favola e che quanto all'incarnazione del Salvatore, egli opinava che lo stesso spirito (soffio) che lo aveva animato era lo stesso che era in Mosè, negli altri profeti e apostoli; onde a ben ragione, Fozio del IX secolo, quale difensore dell'incarnazione secondo i dogmi ormai stabiliti e imposti, se ne scandalizza dichiarando che Origene scrisse molte bestemmie>> (Bossi. op. cit.pag. 39- da Ganeval. capp.II e III).
A questo punto non ci resta che aggiungere altri esempi simili al precedente per dimostrare quanto il cristianesimo che la Chiesa afferma essersi costituito negli anni trenta, cioè dopo la morte di Cristo, in realtà ancora annaspava alla fine del II e per tutto che negano nella maniera più categorica l'incarnazione di Cristo:
1) S. Giustino martire nel 160, per contraddire Celso che affermava l'esistenza di Gesù ma soltanto come capo brigante, scriveva: <<se Gesù è nato, e se è nato in qualche luogo, rimane comunque completamente sconosciuto>> (Dialogo con Trifone- Dide. “La Fine delle Religioni”- pag.171).
3) Papia, vescovo di Gerapoli, autore di una esegesi sui detti del Signore, vissuto nel pieno del II secolo, mancando di riferimenti storici sulla vita di Gesù, ne sostiene l'esistenza citando i passi di un vangelo spiritualista esseno-egiziano (terapeuta).
4) S. Ireneo, vescovo di Lione dal 177, afferma che il Dio cristiano non è né uomo né donna.
5) S. Giustino, scrittore cristiano, autore di due apologie del cristianesimo, morto a Roma nel 165, parlando di Cristo afferma che è un'emanazione di Dio che avviene come la proiezione dei raggi del sole. (Concetto gnostico che esclude ogni relazione tra la divinità e la materia).
6) <<Tutte le sette gnostiche esistenti nei secoli I, II e III., quali i Marcioniti, i Valentiniani, i Basilidiani, i Nicolaidi e tante altre negano l'incarnazione di Gesù affermando, secondo quanto ha detto S. Epifane, che egli è la ricostruzione di Oro, il figlio della Trinità egiziana, divenuto poi Serapide.
A queste sette, citate da Ganeval, le quali negavano che il Verbo si fosse fatto carne, va aggiunta e segnalata specialmente quella dei Doceti, negatori della storicità di Cristo, per confutare i quali, secondo il Salvador (Gesù Cristo e la sua dottrina- lib.II, cap.II), il quarto vangelo aggiunge alla Passione il colpo di lancia che fa uscire acqua e sangue dal corpo di Cristo per provare la sua natura umana a quanti la smentivano. Determinante per la negazione dell'umanizzazzione di Gesù è il fatto che i doceti sono contemporanei degli apostoli, al dire di S. Girolamo>> (Bossi. Gesù Cristo non è mai esistito. Ed. La Fiaccola. pag.40).
Praticamente la figura storica di Cristo che tutti, compresi i Santi e gli esegeti cristiani si rifiutavano di riconoscere, se è stata riconosciuta tale non è dipeso da una documentazione corredata di prove ma bensì da un'imposizione di falsità e di contraffazioni sostenuta dalle torture più atroci e dal rogo.
<<Se il Gesù dei cristiani fosse veramente esistito, non si avrebbe avuto bisogno di falsificare la storia per provarlo>>. (Bossi, avvocato. op. cit. pag.16).
Inchiesta di Domiziano.
Secondo quanto dice S. Eusebio, l'Imperatore Domiziano (81-96), avendo sentito parlare dei cristiani, avrebbe fatto venire a Roma dalla Palestina dei parenti del Signore, discendenti della stirpe di Davide, per interrogarli sul Cristo del quale aveva sentito parlare. Costoro, ignorando apostoli, passione e morte, gli risposero che “il regno di Cristo non essendo di questo mondo e di questa terra, ma celeste e angelico, si sarebbe realizzato alla fine dei tempi”.
Domiziano, sempre stando a S.Eusebio, rassicurato dal pacifismo che avevano dimostrato queste brave persone, li rinviò in Giudea (augurandogli un buon viaggio. o.p.).
Questo fatto di per se già privo di logica per il semplice motivo che Domiziano se avesse voluto informarsi sul Cristo e sui suoi seguaci avrebbe avuto sistemi molto più imperiali che quello di convocare dei Giudei a Roma, come fece per esempio dopo di lui Adriano che chiese informazioni a Plinio il Giovane procuratore della Bitinia, non è che un altro esempio dei tentativi fatti dalla Chiesa per dimostrare l'esistenza storica dei cristiani nel primo secolo attraverso la falsificazione dei documenti. Se ci fossero stati veramente dei cristiani a Roma, con tanto di vescovi successori di S. Pietro (morto a Roma nel 63), come S. Anacleto (76-88) e S. Clemente (88-97), perché Domiziano avrebbe dovuto far venire dei cristiani dalla Palestina per informarsi della loro religione? Come può la Chiesa giustificare la contraddizione tra un Domiziano che interroga dei cristiani che non conosce e che per giunta gli risultano dopo l'interrogatorio dei pacifici seguaci di una religione del tutto spirituale, e un Domiziano che nello stesso tempo ci viene presentato come un persecutore dei medesimi? Come potrebbe Domiziano (51-96) ignorare i cristiani quando nel 68 furono accusati dell'incendio di Roma? È chiaro che tutta questa confusione esistente nella storia ecclesiastica dipende dalla necessità che la Chiesa ha avuto per potersi sostituire a quegli esseni pacifisti che sostenevano il Cristo di un regno angelico e celeste.
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Lettera agli Ebrei e lettera di Plinio il Giovane
Tutti, ormai, compresa la Chiesa stessa, riconoscono che la Lettera agli Ebrei non è stata scritta da Paolo di Tarso. L'autore è discusso tra coloro che l'attribuiscono alla scuola alessandrina (Terapeuti) e quelli che sostengono la tesi di Tertulliano secondo la quale a scriverla sarebbe stato un certo Barnaba contemporaneo di Paolo di Tarso.
Eccetto qualche interpolazione apertamente manifesta, anche se è considerato uno dei documenti più antichi perché in essa si fanno allusioni alle cerimonie celebrate nel Tempio di Gerusalemme che sarà distrutto da Tito nel 70, in essa non c'è nessun riferimento a una vita terrestre di Gesù. Il Cristo della Lettera agli Ebrei è un personaggio astratto assimilato a Melchisedec, personaggio della genesi che viene dichiarato “senza padre, senza madre, senza genealogia e che non ha avuto né principio, né fine”.
Il Cristo della Lettera agli Ebrei è un essere soprannaturale e non un uomo che è vissuto sulla terra.
<<La Lettera agli Ebrei, non dice assolutamente nulla dei parenti di Cristo, dei suoi fratelli, dei suoi discepoli, delle sante donne, nulla dei suoi rapporti con il popolo, i farisei, i Romani; Nulla del suo arresto, del suo processo e della sua crocifissione. Il Cristo non è posto in un santuario costruito dagli uomini, ma nel cielo ed ha sostituito il suo sangue a quello degli animali sacrificati. La croce viene nominata soltanto in due inserzioni (6-4/8, 12-162) ma evidentemente aggiunte in un secondo tempo come risulta dalla contraddizione che esse esprimono verso il resto del testo. In definitiva, ispirandosi essa a un Cristo essenzialmente celeste, la lettera agli Ebrei è da considerarsi un documento, come l'Apocalisse, contro ogni storicità della vita di Gesù>> (J.K. Watson - Lettera agli Ebrei - quaderno del Circolo Renan, 4° trim. 1965).
Lettera di Plinio il Giovane all'Imperatore Traiano.
Tra i vari documenti che la Chiesa porta come prova per confutare coloro che sostengono che non esistevano cristiani prima del 150, c'è una lettera che Plinio il Giovane scrisse nel 110, quale procuratore romano in Bitinia, all'Imperatore Traiano per chiedergli come doveva comportarsi verso i seguaci di una certa “superstizione” che venivano chiamati cristiani.
<<È per me dovere, o Signore, rimettere al tuo giudizio tutte le questioni in merito alle quali sono incerto. Chi, infatti, meglio di te può dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza? Non ho mai preso parte a istruttorie a carico dei cristiani; pertanto non so fino a che punto si sia solito punirli o inquisirli. Ho anche assai dubitato se si debba tenere conto della loro età; se anche i fanciulli debbano essere trattati come gli uomini nel loro pieno vigore; se si deve concedere grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia comunque cristiano non giovi affatto l'aver cessato di esserlo; se vada punito pur esente da colpe, oppure si deve considerare una colpa l'aver soltanto questo nome.
Nel frattempo, con coloro che mi venivano consegnati quali cristiani, ho seguito questa procedura: se dopo aver chiesto loro se fossero cristiani confessavano di esserlo, li interrogavo una seconda volta e una terza volta minacciandoli di pena capitale. Quelli che perseveravano li ho mandati a morte ritenendo dover essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, per i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poiché si accrebbero le incriminazioni, come avviene al solito trattando tali questioni, mi capitarono dinanzi casi diversi.
Venne messo in circolazione un libretto anonimo che conteneva diversi nomi.
Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ad altri simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile a ottenersi da coloro che sono veramente cristiani. Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent'anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei e imprecarono Cristo. Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell'esser solito riunirsi prima dell'alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio (quasi deo) e obbligarsi con giuramento a non perpetrare alcun delitto, a non commettere furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di deposito, qualora ne fossero stati richiesti. Fatto ciò avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere il cibo, ad ogni modo comune ed innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto con il quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l'esistenza di sodalizi. Per questo ritenni ancor più necessario d'interrogare due ancelle che erano dette ministre, per sapere quale fondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null'altro al di fuori di una superstizione balorda e smodata.
Perciò, rinviata l'istruttoria, mi sono affrettato a chiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questa minaccia; molte persone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno in questo pericolo. Non soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo però che possa essere ancora fermata e portata nella normalità>>. (Epistola X, 96, 1-9).
Anche se non ci sarebbe più bisogno di ulteriori commenti per dimostrare che i Cristiani a cui si riferisce Plinio il Giovane erano gli Esseni dei quali parlano Giuseppe Flavio, Filone e i documenti di Qumran (Libro delle Regole), facciamo comunque rimarcare, come ulteriori conferme, i seguenti passi contenuti nella lettera:
1) La presenza di donne negli incarichi religiosi in qualità di ministre che, inammissibile in un ambiente cristiano per l'interdizione alla celebrazione dei culti che la Chiesa ha sempre riservato al sesso femminile, che veniva ancora conservata presso le comunità giudeo-essene per quel rispetto che portavano alle leggi dei loro padri: <<Quando un uomo o una donna farà voto speciale, il voto di nazireato per consacrarsi al Signore, si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti...>>. (Nm. 6-
2) <<L'espressione secondo la quale costoro pregano il loro Cristo “come se fosse un dio”, non può che riferirsi al Logos di Filone che viene considerato un essere intermediario tra dio e gli uomini, inferiore a Dio, perché creato, ma occupante nella creazione un posto di preminenza che, investendolo di alcuni attributi divini, lo rende un “quasi dio”>>. (Guy Fau. pag. 235).
3) Il nome di cristiani con cui veniva indicata questa setta di balordi e di smodati non se l'erano data loro quali seguaci di Cristo, ma bensì gli era stato attribuito da altri e con un senso dispregiativo come sostiene Ambrogio Donini in “Storia del Cristainesimo” Edt. Teti- pag. 29: <<Il nome di cristiani è nato in un ambiente non palestinese e veniva usato in senso d'ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere gli ebrei della Sinagoga (ortodossi) dai nuovi convertiti, considerati gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni>>.
4) <<L'appellativo di cristiani abbinato ad una setta di superstizione, dato da Plinio il Giovane alle comunità della Bitinia, lo troviamo già in Tacito allorché si riferisce alle loro espulsioni avvenute sotto Augusto e sotto Tiberio già molti anni prima della presunta morte di Gesù Cristo.
Non è un gioco di parole il dire che il cristianesimo esistette sotto forma di superstizione giudaico-cristiana prima che Gesù nascesse e la Chiesa facesse proprio questo nome sostituendosi agli esseni>>. (E. Bossi. Gesù Cristo non è mai esistito. Pag. 36).
Un'altra testimonianza storica dimostrante che i cristiani di Madre Chiesa ancora non esistevano nella prima metà del II secolo, ci viene dallo stesso imperatore Adriano, il quale andato ad Alessandria l'anno 131, disse che “il Dio dei cristiani era Serapide e che i devoti di Serapide erano quelli che si dicevano “vescovi dei cristiani”. (Bossi. op.cit. pag.40).
*Vescovo, dal greco “epuscopus” (capo di comunità religiosa), è passato nella gerarchia ecclesiastica cristiana soltanto dopo la sua costituzione, cioè nella seconda metà del II secolo, tanto che il primo vescovo di Roma, riconosciuto dalla storia, è stato Eleuterio di Nicopoli dell'Epiro (175-189).
Documenti della prima metà del II secolo
Esaminati i documenti del primo secolo, nei quali nulla si è trovato che si riferisca alla figura storica di Gesù, all'infuori di falsificazioni che non possono che confermare la sua inesistenza, passiamo ora a quelli della prima metà del II secolo.
Fu nella prima metà del II secolo che si conclusero i programmi delle due correnti, la guerriera e la spiritualista, che, dopo la separazione avvenuta in seguito alla guerra del 70, avevano perseguito separatamente ciascuna secondo il proprio programma.
Mentre la prima terminò il suo ciclo con la sconfitta del 135 che subì Bar Kokeba, ultimo Messia davidico, la seconda si aprì a nuovi concetti teologici basati sulla ricerca di una fede ragionata (gnosi) che avrebbe permesso all'uomo di risalire a Dio attraverso gl'insegnamenti di un Logos che, da atteso quale era stato per tutto il primo secolo, si era improvvisamente trasformato in un Salvatore che aveva già realizzato la sua missione redentrice sulla terra prendendo dell'uomo soltanto le apparenze.
I motivi per cui i teologi esseni giunsero a questa decisione sono due: primo, non avrebbero mai potuto ottenere un successo definitivo sulle masse se avessero continuato a opporsi al sincretismo pagano, basato su Soteres che si erano già realizzati, con l'astrattismo di un Messia che ancora doveva venire; secondo, si doveva porre termine all'attesa di un Messia che, non arrivando mai, cominciava a stancare gli esseni stessi.
Ma come giustificare al mondo la figura di un Messia già esistito se fino ad allora essi stessi avevano sostenuto che doveva ancora venire?
Ebbene, questo problema che potrebbe apparire insolubile alla ragione ed al buon senso, lo risolsero dando la colpa a essi stessi dicendo che se erano rimasti ad aspettarlo ciò era dipeso dal fatto che non lo avevano riconosciuto quando era venuto. E attribuendo la sconfitta della guerra del 70 ad una punizione inflittagli da Dio per aver commesso la colpa di non riconoscere il Messia che lui gli aveva inviato, confermarono il fatto invocando la profezia di Isaia che lo aveva preannunciato: <<Egli (il Messia), dopo essere passato tra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello che viene condotto al mattatoio>>.
Ma prima di soffermarci a parlare di come fu costruita la vita terrena di questo Salvatore la cui esistenza veniva confermata esclusivamente da una profezia, è bene conoscere il concetto base della dottrina gnostica che ne fu la supportatrice.
<<Nel colto mondo intellettuale di Alessandria d'Egitto (città natale di Filone), durante il secondo secolo, il problema religioso è inserito nell'ambito di una matura esperienza filosofica e mistica. Allacciandosi al neoplatonismo, gli gnostici ritengono che il cosmo sia formato da una gerarchia di entità incorporee ( gli “eoni”) emanate da Dio, sempre meno perfette a mano a amano che si allontanano da lui, come la luce che progressivamente si attenua distanziandosi dalla sua fonte. L'ultimo eone, l'anima umana, venuto a contatto della materia, è stato sopraffatto da essa, è caduto nelle tenebre, è divenuto schiavo del male, del dolore, della morte. Questa situazione è quindi conseguenza di oblio e ignoranza della propria origine divina, e la gnosi è appunto il riprendere conoscenza di essa e aspirare al ritorno di essa, cioè alla perfezione di Dio (divinizzazione), momento di origine”.
Concedere all'uomo la possibilità del proprio riscatto è un gesto d'amore da parte di Dio, che egli compie inviando agli uomini il modello perfetto dell'uomo spirituale, l'Anthropos celeste. Questi, con l'esempio di se stesso e con la rivelazione delle verità dimenticate dall'uomo, rende l'uomo partecipe delle gnosi, cioè della conoscenza salvatrice”. (Craveri.op.cit. pag.476).
Come conseguenza, quindi, del fatto che la materia è all'origine di tutti i mali, il Messia degli gnostici aveva compiuto la sua missione di un predicatore essenzialmente spirituale che aveva preso dell'uomo soltanto le apparenze.
Per poter meglio comprendere questo concetto, riporto la spiegazione che dà il teologo Valentino per giustificare come sia stato possibile a Cristo di svolgere un'attività del tutto umana pur rimanendo purissimo spirito: << Il Salvatore, avendo tutto tollerato, divenendo padrone di se stesso, era giunto al punto di continenza che il cibo che mangiava non si corrompeva nell'interno del suo corpo perché in lui, quale puro spirito, non poteva essere corruzione di materia. Mangiava e beveva come un uomo ma in maniera particolarissima, non restituendo gli alimenti>>. (Tutta la teologia, e soprattutto quella cristiana, è un insieme di demenze e di follie che umiliano l'intelligenza umana!).
I vangeli gnostici, per lo più di origine sirio-egiziana, che furono scritti nei secoli che seguirono via che si svilupparono le varie correnti gnostiche, furono innumerevoli, ma siccome a noi c'interessano soltanto quelli da cui furono tratti i vangeli canonici, prenderemo in esame i più antichi, cioè quelli che uscirono nella prima metà del secondo secolo allorché si cercò di costruire la figura di questo Cristo attraverso la citazione di frasi e di sentenze che secondo gli gnostici erano state da lui dette durante il suo passaggio sulla terra, quel passaggio che, non essendo stato rimarcato da nessuno, aveva come unico supporto della sua esistenza la profezia di Isaia.
Le Logia o Loghia.
Per dare credito alle varie asserzioni moraliste pronunciate da questo Salvatore durante il suo passaggio sulla terra, asserzioni tratte tutte da versetti della Bibbia o da quei concetti che gli esseni avevano assimilato dalle religioni pagane, come il discorso della montagna che era alla base della morale Mazdeista (Mitra), esse furono attribuite a cronisti che, in qualità di discepoli o di discepoli dei discepoli del Messia, vennero dichiarati testimoni diretti dei fatti.
Queste citazioni, tutte rispettanti i principi gnostici, quindi escludenti l'incanazione di Cristo, che S. Giustino scrittore cristiano del II secolo, definì “corte e laconiche”, alle quali fu dato il nome di Logia dal greco “logion” che significa sentenza, sono state ritrovate in frammenti di papiro scoperti a Ossirinco (Egitto) tra il 1897 e il 1903 (papiri di “Ossirinco” e papiro di “Egerton ”).
Datate intorno al 130-135, le Logia sono da considerarsi la sorgente, come sono state dichiarate con la parola Quelle (Q) che in tedesco significa appunto “sorgente”, di tutti gli scritti e i vangeli che in seguito furono riferiti alla vita di Gesù Cristo.
I primi libri che uscirono su ricopiatura di queste frasi attribuite al Signore furono il vangelo di Tommaso, di Filippo, della Verità, di Marco, di Matteo, un libricino intitolato “Detti e sentenze del Signore” di un certo Papia, vescovo di Geropoli in Frigia, e il vangelo di Marcione.
Vangeli di Tommaso, di Filippo e della Verità.
A parte il vangelo della verità che “più che un vangelo è una dissertazione su di alcuni punti fondamantali della dottrina gnostica” (M.Craveri- Vangeli Gnostici. Einaudi. Pag.547), gli altri due si fa presto a definirli dicendo che sono una raccolta delle sentenze del Signore che cominciano tutte con: <<Il Signore disse: .....>>.
Craveri, attraverso un'analisi comparativa, ha dimostrato come i vangeli canonici siano la riproduzione più fedele delle 121 sentenze riportate dal vangelo di Tommaso, delle 127 del vangelo di Filippo, delle 47 del Vangelo della Verità e delle altre riportate dai vari papiri quali quelli di Osirinco, di Egerton, di Fayyun e di Berlino 11710.
Riportiamo alcuni esempi presi a caso di questi papiri per dimostrare come è da essi che derivano i vangeli canonici:
<<Il Signore disse: Colui che cerca troverà, e a colui che bussa sarà aperto>>. (Tommaso sentenza 101 ripresa da Matteo in VII. 7-8- e da Luca in XI 9-10)
<<Mostrarono a Gesù una moneta d'oro e gli dissero: Gli uomini di Cesare ci chiedono le tasse- Egli disse loro: Date a Cesare ciò che è di Cesare, date a Dio ciò che è di Dio, e date a me ciò che è mio>> (Tomm. sent. 107 = Mc. XII 14-17; Mt. XX 16-12).
<<Gesù disse: La messe è grande davvero, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Sigmore perché mandi operai nella messe>>. (Tomm. sent. 80 = Mt. IX, 37-38; Lc.X, 2).
.<<Questo è il motivo per cui il Logos ha detto: Già la scure è posta alla radice degli alberi>>.(Filippo, sent.123 = Mt III,10).
<<I capi misero le mani su di lui per arrestarlo e consegnarlo alla folla, ma non potevano pigliarlo, perché non era venuta l'ora della sua consegna>>. (Papiro di Egerton 2 = Gv.. VIII 20).
<<Il Signore disse: Molti che sono i primi saranno gli ultimi>>.(Papiro di Ossirinco, sent. 1 = Mc. X,31; Mt. XIX,30; XX,16; Lc. XIII,30).
<<Il Signore disse: Tu vedi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello e non vedi la trave nel tuo>>. (Oss. 1; Mt. XII; 3,5; Lc; VI,41,42).
<<Dopo aver cenato, come di costume, il Signore disse: - Tutti in questa notte avrete occasione di caduta, secondo quello che è scritto: <<Io percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse>>.
E avendogli detto Pietro: -Anche se tutti, io no,- il signore rispose: - Prima che il gallo canti due volte, tu mi rinnegherai tre volte>>. (Papiro di Fayyun - Mc. XIV 26,30; Mt. XXVI 30,34).
<<Natanaele riconobbe, dicendo: Rabbi, Signore, tu sei il figlio di Dio!.
Il Rabbi gli rispose: Natanaele, cammina al sole!
Gli rispose Natanaele e disse: Rabbi, Signore, tu sei l'agnello di dio che toglie i peccati del mondo!>>. (Papiro di Berlino - Giov. I 49; I 29).
Delle 350 sentenze dei vangeli gnostici di Tommaso, Filippo, della Verità e delle altre contenute nei vari papiri, non ce n'è nessuna che non sia stata usata per costruire i vangeli canonici.
A questo punto, essendo venuti a conoscenza del fatto che i vangeli canonici sono stati costruiti su frasi e sentenze “brevi e laconiche riportate senza nessun ordine”, possiamo finalmente capire il motivo per il quale i fatti riferentisi alla vita di Cristo risultino nei quattro vangeli canonici così privi di quella successione che ci sarebbe dovuta essere se fossero stati riportati veramente da testimoni oculari come sostiene la Chiesa, e perché i primi tre risultino così uguali nelle espressioni da essere chiamati sinottici.
Vangeli di Marco e di Matteo (pseudo).
Per spiegare cosa significa la parola “pseudo” messa tra parentesi nel titolo, diciamo che la Chiesa, allorché fece la cernita dei documenti riguardanti la vita di Cristo, una cernita che tra conferme e ripensamenti si è protratta per secoli se consideriamo che l'Apocalisse rimase in discussione fino al VI secolo, dopo aver scelto come canonici i quattro che più gli convenivano, dichiarò tutti gli altri non validi dandogli il nome di “apocrifi”, se rappresentati da un solo esemplare, e di “pseudo” se invece di esemplari dello stesso documento ce n'erano due, come nel caso del vangeli canonici che, essendo rappresentati tutti e quattro da una duplice copia, avranno rispettivamente uno paseudo.
Ma lasciando stare gli pseudo che si riferiscono a Luca e a Giovanni che oltre ad essere troppo lungo spiegarne le origini è anche di non importanza determinate al nostro scopo che è quello di stabilire la data dei canonici, prendiamo in esame soltanto lo psedo Marco e lo Pseudo Matteo.
Un'altra raccolta di sentenze, oltre quelle già considerate nei vangeli di Tommaso, Filippo ecc.,fu riunita in due libricini che furono attribuiti a due personaggi completamente ignorati dalla storia, Marco e Matteo, che la Chiesa ha dichiarato essere stati discepoli di Gesù.
Che questi due vangeli siano usciti tra il 135 e il 150 ci viene dal fatto che i relatori di entrambi dimostrano di essere a conoscenza della distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 135 e che sono nominati da Papia, vescovo di Geropoli intorno al 150, il quale così li definisce:
<<Marco, interprete di Pietro, redasse esattamente ma senza ordine ciò che ricordava delle parole del Signore>>.
<< Matteo riunì in ebraico le sentenze del Signore e ciascuno le tradusse come poteva>>.
Quale dei due pseudo vangeli sia stato scritto prima non si può sapere con certezza anche se è convinzione generale che quello di Marco sia stato il precedente.
<<Quale dei due è stato scritto prima dell'altro? Quasi tutti sono d'accordo ad attribuire la precedenza a quello di Marco per il fatto che tutti gli altri lo citano o lo ricopiano. In realtà, tenuto conto degli arrangiamenti ulteriori, questa prova non può essere considerata decisiva. Ma poco comunque importa dal momento lo scarto fra i due è assolutamente minimo>>. (Guy Fau. op.cit.pag. 89).
Infatti quello che c'interessa di questi due libricini è il poter trarre da essi le prove dimostranti che i vangeli canonici a loro attribuiti non sono stati scritti negli anni 40-50 (Matteo) e negli anni 60-65 (Marco) come la Chiesa sostiene, ma soltanto dopo il 150, e non da testimoni presenti ai fatti ma da falsificatori che, come vedremo nel capitolo dei vangeli canonici, nulla avevano a che vedere con il mondo ebraico e tanto meno con la Palestina.
Vangelo di Papia.
Questo vangelo, scritto da Papia, vescovo di Geropoli, fu presentato da lui personalmente nel 135 alla comunità essena di Roma sotto il titolo di “Detti e Sentenze del Signore”, ma non ebbe una favorevole accoglienza perché riconosciuto, come scrive S. Eusebio, “poco intelligente nelle sue espressioni”, espressioni che, se risultano sciocche ed assurde sul piano concettuale, assumono invece una grande importanza su quello storico perché ci fanno capire quanto la figura di Cristo fosse ancora così teorica ed astratta nella prima metà del II secolo.
Prendendo spunto dal passo dell'Apocalisse (22.2) nel quale si dice che “in mezzo alla piazza di Gerusalemme si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese “, Papia trasse così una delle sentenze riportate nel suo vangelo: <<Il Signore disse che presto ci saranno vigne di 10.000 tralci che porteranno ciascuno 10.000 ramificazioni aventi ognuna 10.000 grappoli formanti ciascuno 10.000 acini e ogni grappolo produrrà 10.000 litri>>.
La frase, anche se non merita commento per la sua idiozia, assume comunque una estrema importanza se si considera che colui che ci parla così di Gesù è un ecclesiastico che ricopre la carica di vescovo presso la comunità di Geropoli in Frigia (Asia Minore culla dell'essenismo spiritualista gnostico). Se non dovesse essere sufficiente la demenza di questa sentenza per dimostrare quanto fosse ancora sconosciuta l'incarnazione di Cristo, allora aggiungeremo che Papia, stando a quanto afferma lo storico cristiano Mons. Duchesne nel suo libro “Storia della Chiesa” (cap.I, pag 143, Ed. Paris 1910), disconoscendo ogni morte sulla croce, sosteneva ancora nel suo vangelo che Gesù era deceduto in “età avanzata”.
<< Naturalmente, come tutti gli altri redattori di quel tempo che per dare credito ai lo scritti li attribuivano a personaggi che venivano dichiarati testimoni diretto o indiretti della vita di Cristo, anche Papia fece lo stesso affermando che ciò che aveva riportato sul suo libricino lo aveva sentito raccontare da persone anziane che a loro volta le avevano apprese direttamente dal discepolo Giovanni, come risulta da S.Ireneo - (Haeresiae Cap. V 33-3) >> ( Las Vergnas, op.cit. pag. 45).
Povero Giovanni, chissà come si rivolterebbe nella tomba se venisse a sapere di tutte le fesserie che la Chiesa ha scritto sotto il suo nome!
Vangelo di Marcione.
Questo libro è il primo racconto coordinato della vita di Cristo. Scritto da Marcione, filosofo gnostico di Sinope sul mar Nero (Siria), fu portato da lui stesso nel 140 presso la comunità di Roma che, anche se formata da elementi culturalmente tra i meno sviluppati dell'epoca, andava prendendo sempre importanza per il carisma che le veniva dal fatto di essere nella capitale dell'Impero. Accolto inizialmente con successo, dopo quattro anni soltanto fu respinto dalla stessa comunità perché ritenuto eretico, cioè contrario all'umanizzazione di Cristo della quale nel giro di pochi anni ne era divenuta sostenitrice. (Non dimentichiamoci che Marcione portò alla comunità di Roma, insieme al suo vangelo, anche 200.000 sesterzi. La Chiesa sostiene che gli furono restituiti al momento dell'espulsione. Sarà vero? <<Conoscendo l'avidità del clero, a qualsiasi religione appartenga, sono portato a dubitare fortemente di questa restituzione>> (Guy Fau).
Anche se è stato distrutto, e possiamo ben immaginare da chi, questo vangelo è stato in buona parte ricostruito nei suoi punti più importanti attraverso le citazioni dei suoi passi che gli autori cristiani, sostenitori dell'incarnazione, riportarono nei loro libri per confutare le teorie gnostiche che conteneva, cioè quelle teorie che sostenendo un Salvatore essenzialmente spirituale ne negavano l'incarnazione.
I motivi per i quali il vangelo di Marcione assume una particolare importanza nello studio della cristologia, sono due:
a) È attraverso la sua accettazione da parte della comunità di Roma nel 140 e la sua conseguente respinta avvenuta nel 144, che possiamo determinare con grande approssimazione gli anni in cui avvenne la separazione tra gli esseni di origine ebraica e gli esseni di origine pagana causata dall'introduzione dell'Eucaristia.
b) Il vangelo di Marcione fu il primo a riportare un racconto coordinato della vita di Cristo con tanto di riferimenti storici e geografici che fino ad allora non erano apparsi in nessuno di tutti gli altri scritti che invece si erano limitati a citare di lui soltanto detti e sentenze. Sarà poi su questi riferimenti storico-geografici riportati da Marcione che verranno costruiti i quattro vangeli canonici.
La ricostruzione del vangelo di Marcione, fatta prima da Harnack e poi da Cuchoud (Gesù, il dio fatto uomo- pag. 63 e segg.). possiamo così riassumerla nell'essenziale dicendo che esso cominciava: <<Nel quindicesimo anno del regno di Tiberio (cioè nell'anno 30) ai tempi del procuratore Ponsio Pilato e Caifa Sommo Sacerdote, il Salvatore figlio di Dio, discese dal cielo su Cafarnao, città della Galilea, per cominciare da lì le sue predicazioni>>.
Su quali basi Marcione determinò l'anno 30 come inizio delle prediche e Cafanao in Galilea come luogo nel quale esse cominciarono? No dimentichiamo che Marcione era un ebreo e che, come tale, era uno sostenitore di quelle argomentazioni che gli gnostici avevano tratto dalla Bibbia per determinare il periodo nel quale il Messia era passato tra gli uomini senza essere riconosciuto: se la sconfitta del 70 era stata una punizione inflitta da Dio al popolo ebraico per non aver riconosciuto il Salvatore e Dio aveva atteso 40 anni prima di punirli, come veniva affermato dalla profezia di Giacobbe, facendo 70-40, la data non poteva essere che quella del trenta. Per ciò che riguarda poi il luogo, se Marcione scrisse che era Cafarnao ciò dipese da fatto che egli si attenne a quella tradizione popolare che si riferiva a quel Giovanni di Gamala che in qualità di Messia aveva infatti cominciato le prediche partendo dalla Galilea.
Come conseguenza, una volta stabilita la data, venne da se che fossero riportati nel vangelo i personaggi di quell'epoca, quali Ponsio Pilato, governatore della Giudea, Caifa Sommo Sacerdote e Tiberio imperatore regnante.
Che il Cristo di Marcione sia un Cristo senza nascita che si presenta sulla terra in età già adulta prendendo dell'uomo soltanto le apparenze, ci viene confermato da Tertulliano, apologista cristiano, il quale nelle sue confutazioni contro Marcione riporta un passo del suo vangelo nel quale si faceva dire allo stesso Cristo di non avere una nascita terrestre: <<Ipse contestantur se non esse natum. Tentaverunt per mentionem matris et fratrum, ut scirent natusque esset an non>>. (Poiché egli stesso (Cristo) negava di essere nato, lo tentarono nominandogli sua madre e i suoi fratelli). Ma lui conferma la sua natura essenzialmente spirituale rispondendo: <Io non ho madre, io non ho fratelli>>
Questo passo nel quale viene riportato un Cristo che nega di avere una madre e dei fratelli per dimostrare che la sua origine non è terrena, se trova giustificazione in un vangelo gnostico quale quello di Marcione, diventa una contraddizione nei vangeli materialistici canonici nei quali fu sconsideratamente riportato (ricopiato) dai redattori di Marco (Mc. III,33), Matteo (XII,48) e Luca (VIII,21).
Per Marcione Gesù non poteva essere nato secondo la carne perché sarebbe stato vergognoso per un Dio confondersi con la materia.
<<Gesù ha preso una somiglianza d'uomo perché se fosse divenuto veramente uomo avrebbe cessato di essere un dio>>, afferma Marcione nel suo vangelo secondo Crisostomo che ne riporta la frase nella sua lettera ai Filippesi. (II,7).
Un altro argomento che rende interessantissimo il vangelo di Marcione per dimostrare che tutta la storia della crocifissione è un'invenzione della metà del II secolo, ci viene dal fatto che essa era completamente sconosciuta fino al 144, dal momento che egli è il primo a parlarne ma in una forma del tutto immaginaria e sovrannaturale: <<Marcione è il primo che parla di crocifissione, anche se la sua è una crocifissione più simbolica che reale perché voluta dagli Arconti (demoni appartenenti alla teoria gnostica) che la operarono servendosi delle autorità di Gerusalemme, tanto che la sua morte fu solo apparente perché il suo corpo non era di carne>>. (Gay Fu. op.cit. pag. 81).
Siamo nel 144 e Gesù nella sua figura di essere celeste che discende sulla terra in età già adulta, senza padre né madre, che muore per opera degli Arconti, ma in maniera soltanto apparente, ancora non ha nulla di quel Cristo che in seguito si farà nascere da una donna e si farà morire sulla croce quale dio incarnato.
DOCUMENTI DELLA SECONDA META DEL II SECOLO
I vangeli canonici.
Vangelo di Matteo.
<<Scritto originariamente in Aramaico da Matteo, l'apostolo chiamato da Gesù al suo seguito distogliendolo dalla professione di esattore delle imposte, fu pubblicato tra il 40 e il 50>>. (Dalla Sacra Bibbia - ed. C.E.I.).
La falsità della data attribuita dalla Chiesa al vangelo di Matteo ci viene incontestabilmente confermata da quel passo nel quale Gesù minaccia gli Ebrei di aver ucciso Zaccaria, figlio di Baracchia, che così recita: <<...perché ricada su di voi (Ebrei) tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Baracchia, che avete ucciso tra il santuario e l'altare>>. (Mt. 23,35).
Sapendo da Giuseppe Flavio che l'assassinio di questo Zaccaria avvenne nel 67, cos'altro si può dedurre, oltre a rimarcare l'ignoranza di coloro che fanno recitare a Gesù, morto nel 33, un fatto che non poteva assolutamente conoscere, che la data in cui fu scritto il vangelo di Matteo non è quella del 40-50 attribuitagli dalla Chiesa ma bensì posteriore all'anno 67?
<<Basterebbe soltanto questo riscontro storico per dimostrare che i vangeli, oltre che ad essere stati scritti molto tempo dopo l'epoca ad essi assegnata, furono compilati senza il rispetto delle verità storiche da autori che, pur di costruire la figura di Cristo, gli misero sulla bocca parole assurde senza dubitare che avrebbero tradito, in un'epoca di minore credulità, la loro impostura e le loro invenzioni>>. (E.Bossi. Gesù Cristo non è mai esistito- Ed. La Fiaccola. pag. 99).
Dunque, dimostrato che la data attribuita dalla Chiesa è falsa, quando fu scritto in realtà il vangelo canonico di Matteo? Sapendo che gli fu attribuito intestato libricino databile, come abbiamo visto, tra il 135 e il 150 (vedi cap. precedente - Documenti della prima metà del II sec. “Pseudo vangeli di Marco e di Matteo”), ci verrebbe spontaneo di rispondere che fu scritto in questo periodo, se non considerassimo che Papia lo definì come una semplice raccolta di sentenze: <<Matteo riunì in aramaico alcune sentenze del Signore che ciascuno le tradusse come poteva>>.
Siccome il vangelo di Marco non può essere quello a cui si riferisce Papia perché è tutt'altro che una raccolta di sentenze ma una vera e propria biografia di Gesù, cos'altro si può dedurre se non che il canonico sia una riproduzione ampliata dello pseudo Marco e quindi posteriore al 150? Deduzione che ci viene confermata anche dal passo in esso contenuto che attribuisce a Pietro il primato sulla Chiesa che per quasi tutta la metà del secondo era stato invece riservato a Giacomo.
<<E ancora un'altra prova confermante la sua datazione posteriore al 150 ci viene dal passo “Tu es Petrus” che poteva essere stato scritto soltanto dopo che la Chiesa prese la decisione di togliere a Giacomo il primato sulla comunità di Gerusalemme, che tutti i documenti precedenti al 150 gli attribuivano, per passarlo a Pietro>> (Guy Fau. pag.92).
E ancora:
<< Il “Tu es Petrus” non può essere stato aggiunto nel vangelo di Matteo che dopo il 180 dal momento che è ancora ignorato da Ireneo in questa data >> (Las Vergnas- op. cit. pag.41).
Dunque è chiaro che il vangelo canonico attribuito a Matteo, essendo un ampliamento del libricino che era stato scritto tra il 135 e il 150, è stato redatto nella seconda metà del II secolo da falsari che non potevano essere stati testimoni di un Gesù dichiarato morto nell'anno trentatré.
Vangelo di Marco.
Presentazione della Chiesa: <<Marco, collaboratore di Pietro, che lo predilesse tanto da chiamarlo “suo figlio”, lo scrisse intorno al 65 per i fedeli di origine pagana; secondo la tradizione, per i cristiani di Roma>>. (C.E.I.).
Anche se tutti gli esegeti sono d'accordo a ritenere che il vangelo di Marco sia uscito prima di quello di Matteo per la ragione che quest'ultimo lo ricopia in numerosi passi, esso è comunque da collocarsi ad una data posteriore al 150 per gli stessi motivi che sono stati portati per il vangelo di Matteo: il redattore è a conoscenza della disfatta di bar Kocheba (135) e Papia, vescovo di Geropoli verso il 150, dimostra di conoscerlo allorché lo qualifica come una raccolta di reminiscenze riportate senza alcun ordine cronologico: <<Marco, interprete di Pietro, redasse esattamente ma senza ordine ciò che ricordava delle parole del Signore>>.
Basterebbe soffermaci su questa definizione di Papia per determinare la tardività del vangelo di Marco. Cos'altro si può dedurre da essa se non che il vangelo dichiarato canonico dalla Chiesa sia una derivazione dello pseudo-Marco, dal momento che esso, oltre che a riportare una biografia di Gesù, risulta anche essere il più ordinato di tutti i vangeli?
<<Il vangelo a cui si riferisce Papia dichiarandolo una raccolta di sentenze riportate senza alcun ordine non può essere quello che la Chiesa ci propone, perché nessuno dei vangeli ha un piano più coerente e studiato di quello di Marco>> (Goguel - Intr. al Nuovo Vangelo).
<<Il vangelo di Marco è così ordinato che le sue parti, ben distinte fra loro, sono a loro volta divise per tre o in multipli di tre; Gesù è oltraggiato alle ore 3, condotto al Calvario alle ore 6 ed espira alle ore 9. Questa composizione, essendo tutto l'opposto dello pseudo-Marco a cui si riferisce Papia, non può essere stata scritta che da qualcuno che l'ha ricostruita e messa in ordine dopo il 150>>. (Prosper Alfaric ex professore di teologia presso i grandi seminari di Francia, convertitosi all'ateismo).
<<Il vangelo di Marco, come tutti gli altri vangeli canonici, non sono che un'elaborazione di quella raccolta di sentenze chiamate Logia che furono tratte dalle profezie bibliche riferentesi al Messia>>. (Rendel Harris - Testimonianze - Cambridge 1920 - Quaderno del Circolo Renan, 3° trim. 1961).
Un'altra prova dimostrante ancora che il vangelo non è stato scritto da un ebreo quale era Marco, ma piuttosto da uno dei quegli esseni di origine pagana della comunità di Roma (Il vangelo di Marco fu scritto a Roma in lingua latina - Couchoud. Infra- pag.254), che si erano separati dall'essenismo per sostenere l'incarnazione di Cristo, ci viene dalla disconoscenza che costui ha della Bibbia allorché inizia il vangelo commettendo subito l'errore di attribuire l'annuncio del Messia al profeta Isaia (Mc.1,1), quando esso appartiene invece al profeta Malachia (3,1). Ma di questi errori biblici e geografici che potevano essere commessi soltanto da truffatori che ignoravano la Bibbia e la Palestina ne sono così pieni i vangeli da suscitare più pietà che disprezzo. Soltanto Adel Smith, nel suo libro “500 Errori nella Bibbia” (Ed.Alethes), ne ha contati nei 4 vangeli canonici e negli Atti degli Apostoli ben 250.
<<Non sono che insignificanti inesattezze che servono a rafforzare la fede>>, rispondono i preti quando gli si fanno rimarcare!
Un'altra osservazione interessante riguardo l'autore del secondo vangelo ci viene da Guy Fau: <<Come è possibile che sia stato Marco, l'apostolo tanto prediletto da Pietro da considerarlo come suo figlio, a scrivere questo vangelo quando egli tacendo il “ tu es Petrus” che troviamo negli altri vangeli, dimostra di ignorare che Gesù lo aveva eletto capo della Chiesa?>>.
Vangelo di Luca.
Presentazione della Chiesa: << Luca, autore anche degli Atti degli Apostoli, fu un colto medico siriano convertitosi in Antiochia verso l'anno 43. Conobbe Cristo dai primi testimoni della sua vita e si preparò con accurata indagine. Luca svolge il suo lavoro su un materiale proveniente da ambiente palestinese, non escluso il contributo della stessa Madre di Gesù. Fu scritto fra il 65 e il 70>>.
L'attribuzione a Luca, apostolo vissuto nella Comunità di Gerusalemme insieme a Pietro, Giacomo, gli apostoli e la Madonna, non può essere che fantastica.
Dal momento che questo vangelo fu scritto per confutare i concetti gnostici del vangelo di Marcione, di conseguenza non può essere anteriore al 144. Per quanto la Chiesa cerchi, invocando l'autorità di Tertulliano, di dimostrare che fu Marcione ad imitare Luca, le prove che dimostrano che invece furono i redattori di Luca a ricopiare Marcione sono state ampiamente portate da Couchoud nel suo “Primi Scritti del Cristanesimo”.
“ a) Noi sappiamo che il vangelo di Marcione è conosciuto nel 140 da Papia mentre quello di Luca è ignorato dallo stesso Papia nel 150.
b) Il vangelo di Marcione era molto più corto di quello di Luca, e in questi casi non si accorcia mai, ma piuttosto si allunga.
c) Numerosi passi di Luca hanno un evidente carattere anti-marcioniano.
d) Per analogie di espressioni e uguaglianza di stile, tutto porta a credere che il vangelo attribuito a Luca sia stato scritto, almeno nella sua prima stesura, da Clemente, autore di una lettera ai Corinti, che è vissuto a Roma negli anni 155-165”. (Couchoud. Primi Scritti del Cristianesimo- Pgg. da 7 a 31).
Il fatto poi che, da quanto è stato dimostrato da Marcello Craveri, almeno per il 90 per cento ricopia le sentenze dei vangeli gnostici e i vari papiri datati agli anni 130-135, non è un'altra inconfutabile dimostrazione che la data attribuitagli dalla Chiesa è indiscutibilmente falsa?
Che il vangelo di Luca sia il risultato di continue sovrapposizioni che si sono susseguite per tutto il II secolo e oltre ci viene da Tatiano che nel suo Diatesserone, scritto nel 175, (libro che riuniva in un solo testo i quattro vangeli canonici), non riporta quella nascita di Gesù che fu appunto aggiunta, come nel vangelo di Matteo, soltanto tra la fine de II secolo e gl'inizi del III, cioè quando la Comunità di Roma, in seguito alle critiche degli oppositori che gli facevano rimarcare come potesse Gesù essersi incarnato se non aveva una nascita terrena, decise di farlo partorire da una donna, una donna vergine come veniva sostenuto per le divinità pagane nel Culto dei Misteri.
Un'altra prova dimostrante che la Nascita di Gesù fu aggiunta nei vangeli di Luca e di Matteo in epoca tardiva ci viene da Marcione per il fatto che di essa non fa alcuna menzione nella sua “Edizione Evangelica” che scrisse intorno al 170 per confutare i quattro vangeli.
D'altronde per comprendere quanto la nascita terrena di Gesù sia il prodotto di falsificazioni, basta rimarcare la discordanza che c'è tra quella raccontata nel vangelo di Matteo e quella riportata sul vangelo di Luca la cui veridicità di quest'ultimo viene garantita dalla Chiesa dicendo che fu la stessa madre di Cristo a raccontargliela.
Comunque una cosa è certa: la qualifica di medico che viene data a Luca dalla Chiesa e la serietà che allo stesso viene conferita nella stesura del vangelo, risultano quanto mai discutibili dalla seguente semplice analisi dei seguenti passi:
1) <<Al tempo di re Erode, re della Giudea, il Signore rese grazia al sacerdote Zaccaria rendendo fertile Elisabetta sua moglie, già avanzata nell'età. Da essa nacque un figlio che chiamarono Giovanni. (Lc.1-5).
2) Sei mesi dopo, lo stesso angelo che aveva annunciato a Zaccaria di essere diventato padre, si presenta a Maria e le comunica di essere incinta dello Spirito Santo. (Lc. 1-26).
3) Dopo sei mesi dalla nascita di Giovanni, Maria, moglie di Giuseppe, partorì Gesù a Betlemme dove era andata per via del censimento ordinato da Quirinio, Governatore della Siria>>. (Lc. 2-1).
Basta fare un semplice calcolo tra la data del concepimento e la data del parto, per renderci conto come il redattore del terzo vangelo, oltre a non aver eseguito “accurate indagini”, non era certamente neppure un medico. Sapendo che Erode, re di Giudea è morto nell'anno - 4 e che il censimento c'è stato negli anni +6 e +7, cosa esce fuori? Esce fuori che la Madonna ha avuto una gravidanza, come minimo, di undici anni. ...e ancora una volta Catilina abusa della nostra pazienza!
Finita la risata, voglio aggiungere che questa è una prova determinante per dimostrare che chi ha scritto il terzo vangelo non è stato un dotto medico siriano che ha riportato fatti veramente accaduti mentre lui era in Palestina, ma bensì un somaro pagano che s'inventò come poté tutta una storia per giustificare, attraverso una nascita terrena, l'incarnazione di Cristo.
Vangelo di Giovanni.
Presentazione della Chiesa: <<L'antica tradizione ecclesiastica afferma che il IV vangelo fu scritto dall'apostolo Giovanni, il prediletto di Cristo, quando aveva raggiunto l'estrema vecchiezza nella comunità cristiana di Efeso, metropoli dell'Asia Minore. Il vangelo fu scritto verso l'anno 100 e il più antico manoscritto che lo tramanda è del 150, al massimo del 200>>. (Dalla Sacra Bibbia - Ed. C.E.I.).
Anche se basterebbe considerare che questo vangelo è uscito dopo gli altri tre, posteriori tutti al 150, per dimostrare che la data del vangelo di Giovanni non è l'anno 100 ma bensì l'anno 200 che la Chiesa gli dà come manoscritto riproducente la versione originale.
<<La data attribuita all'anno 100 al quarto vangelo è in realtà molto più tardiva se consideriamo che nessuno prima di Ireneo parla di esso verso il 190. Lo ignorano Marcione, Giustino (autore di due apologie sul cristianesimo, morto nel 165), Papia che viveva ad Efeso nello stesso periodo nel quale Giovanni avrebbe scritto il vangelo non ne fa menzione e lo ignora persino Policarpo che, secondo la Chiesa, era discepolo dello stesso Giovanni. >>. (Las Vergnas. op. cit.. pag. 37).
E ancora: << L'attribuzione di questo vangelo a un discepolo di Gesù è di per se già sufficiente a rendere inaccettabile l'autenticità dell'autore per i suoi contenuti filosofici e teologici: cosa ne poteva sapere un ignorante pescatore della Galilea della dottrina neo-platonica del Logos?
Il Vangelo è citato per la prima volta da Ireneo nel 190. Esso deve essere di poco anteriore a questa data poiché, oltre a considerare già compiuta la separazione tra i cristiani e i giudei, esprime la fusione del Cristo incarnato con il Logos di Filone e degli gnostici che si realizzò soltanto nella seconda metà del II secolo.
Il valore storico dell'opera è quindi nullo. Ma esso lo è ancora di più per la discordanza su numerosi fatti riportati sugli altri tre vangeli. Infine, altra prova determinante per stabilire la sua tardività è il suo anacronismo determinato dai numerosi inni liturgici che riporta i quali dimostrano l'esistenza di un'organizzazione di culto già in atto. (Guy Fau. op.citata. pag. 94).
E ancora più interessanti, se possiamo dire questo, sono le osservazioni di Turmel tra le quali viene confutato quel documento di “Reyland” databile al 130 che, riportando il nome di Giovanni, la Chiesa porta come prova per dimostrare che il IV vangelo fosse già esistente in questa data.
<< Un'analisi approfondita sul vangelo di Giovanni ci permette di distinguere in esso tre stratificazioni integrative successive.
a) Un racconto aneddotico della vita di Gesù, che sarebbe più vecchio di tutto il resto, possiamo trovarla nello pseudo-Giovanni dal quale viene tratto il vangelo canonico di Giovanni. Nello pseudo Giovanni infatti vengono riportati degli aneddoti sulla vita di Cristo scritti da un certo Giovanni detto il Presbitero, morto a Efeso, nel 135, il quale però non ha nulla a che vedere con il Giovanni discepolo di Gesù. Tutto fa pensare che la Chiesa si sia servita di questo Giovanni detto il Presbitero per costruire la figura di Giovanni l'evangelista>> (Turmel. Il Vangelo di Giovanni. Bolletino del Circolo Rnan, Gennaio del 1962).
b) Il prologo comportante l'identificazione del Cristo con il Logos di Filone che non era stata ancora realizzata dal nuovo cristianesimo prima del 165 come dimostra Giustino che la disconosce nelle sue due “Apologie sul Cristianesimo” scritte appunto in questa data.
c) Numerose interpolazioni romane che falsano il senso di alcuni passaggi.
Da notare infine che secondo il “Canone di Muratori”, (datato all'anno 200), risulta il IV vangelo
essere un'opera collettiva redatta da una equipe di discepoli ispirati che si sono messi d'accordo per mettere tutto sotto il nome di Giovanni.
Il vangelo di Giovanni è poi così impastato di concetti tratti dalla gnosi da ritenere assurda ogni pretesa che lo ponga precedente agli anni 150-160.