Luigi Cascioli

Ateismo attacca cristianesimo con una denuncia contro la Chiesa Cattolica sostenitrice di un'impostura costruita su falsi documenti, quali la Bibbia ed i Vangeli, e imposta con la violenza dell'inquisizione e il plagio ottenuto con l'esorcismo, il satanismo e altre superstizioni.

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Argomenti

Le lettere di Paolo e gli atti degli apostoli

Intanto cominciamo col dire che le lettere portate da Marcione alla comunità essena di Roma nel 140 insieme al suo vangelo, dicendo che le aveva scritte un certo predicatore siriano di nome Paolo il quale aveva conosciuto l'apostolo Pietro diretto testimone della vita di Cristo, non furono 14, come la Chiesa sostiene, ma bensì 10 aggiungendo ancora che di queste dieci soltanto 4 possono essere attribuite a Paolo se le confrontiamo con gli argomenti che potevano essere discussi alla sua epoca, cioè nella seconda metà dal I secolo.
<<Le lettere, da quanto risulta dalle ricerche filologiche e storiche e di confronto eseguite dalla scuola di Tubinga, attribuibili a Paolo, sono soltanto quattro: La lettera ai Romani, ai Galati, e le due ai Corinzi>>. (Josif Kryevelev. Analisi storico critica della Bibbia. Cap.9).

Affermazione che viene confermata in maniera più specifica dal Circolo Renan: <<Le lettere portate a Roma da Marcione non furono 14, come la Chiesa sostiene, ma soltanto 10 e che soltanto 4 di queste possono essere attribuibili all'epoca in cui visse Paolo (lettera ai Romani, ai Galati e le due ai Corinzi) da quanto è risultato da uno studio esegetico dei concetti espressi in esse e confermato da un ‘analisi elettronica eseguita sul vocabolario dei testi, eccezion fatta per i passi interpolati in epoca tardiva che risultano numerosissimi anche in queste>>. (Renan -S.Paolo introd.).
E perché ci si possa predisporre a riconoscere tutte le falsificazioni che furono operate sugli scritti di Paolo, aggiungiamo ancora che le quattro di cui si parla, risultano a loro volta così manipolate e contraffate da portare Goguel ad affermare che le due lettere ai Corinzi sono un assemblaggio di sei altre lettere mal ricucite (Nuovo Testamento. intr.), e Renan a riconoscere (S. Paolo. intr.) insieme a Turmel e De La Fosse (Rieder. pag 16), che nella lettera ai romani ci sono ben 5 finali.
Se tante sono le contraffazioni eseguite sulle 4 lettere che possono essere ritenute autentiche, possiamo ben immaginare di che cosa siano composte le altre dieci che furono scritte in seguito dai supportatori delle varie correnti che si servirono del suo nome per sostenere ciascuna il proprio Cristo, senza parlare delle ultime quattro che furono sicuramente redatte dopo il 140 non essendo tra quelle portate a Roma da Marcione.
<<Bruno Bauer e altri rappresentanti della scuola olandese (A.D.Loman, A.Pirson ed altri), già ammisero al loro tempo che le lettere di Paolo non potevano essere assolutamente considerate autentiche come non lo sono quelle che sono state attribuite a Giovanni, Pietro e Giuda. Non si tratta infatti di lettere ma di trattati teologici scritti posteriormente al periodo nel quale si dice che essi siano vissuti. La forma epistolare gli fu data per aumentarne l'autorevolezza e per questo motivo furono usati i nomi degli apostoli>>. (J. kryevelev. op. cit. cap.9).

E ancora:

<<Le manipolazioni operate dai cattolici sulle lettere di Paolo sono certe ed evidenti; esse camuffano in maniera stravagante l'aspetto del Paolismo>>. (Quaderno del Circolo Renan. 4° trim.1960).
Sarà attraverso lo smascheramento delle manipolazioni operate sui testi paolini, eseguite con tanta stravaganza, che trarremo ulteriori e inconfutabili prove sulla non esistenza storica di Gesù.
Ma prima di attaccare gli scritti che si riferiscono a Paolo di Tarso, è opportuno esaminare la situazione religiosa esistente al tempo delle sue predicazioni.
Siamo in quegli anni 40-50 del primo secolo nei quali Filone sostiene il Logos di cui abbiamo già precedentemente parlato, cioè quel Logos che entra in contatto con gli uomini attraverso le visioni. Nato dalla scuola filosofica di Alessandria e assimilato dal mondo religioso esseno egiziano-siriano, il Logos di Filone, che con il suo astrattismo dava a ciascuno la possibilità di costruirsi un Messia secondo le proprie visioni, si espanse con vigore sempre maggiore presso quelle comunità essene che, formate in prevalenza da seguaci provenienti dal mondo pagano, intendevano opporsi alle leggi giudaico-mosaiche che imponevano la circoncisione e l'astinenza a non mangiare carni di animali ritenuti immondi, consideravano la discriminazione battesimale degli eunuchi ed escludevano dagli incarichi politici e religiosi coloro che avevano difetti fisici.
<<Le comunità della nuova religione si organizzano in diverse località del vicino Oriente e in esse hanno un ruolo sempre meno importante gli ebrei mentre assumono maggiore rilievo, sia per numero che per influenza, i proseliti di altri popoli e razze del variegato mondo romano. I paesi del Mediterraneo furono percorsi così da predicatori che stabilirono contatti e favorirono l'elaborazione di una nuova ideologia comune a tutte le comunità>>. (Jisif Kyevelev- Analisi storico critica della Bibbia. Cap. 9 Pag.1).

Come conseguenza della ricerca di regole che potessero essere adottate da tutti i seguaci di questa nuova religione, sorsero tra le varie comunità essene discussioni e diatribe sostenute dai vari predicatori che le rappresentavano. È in questo ambiente di fibrillazione religiosa che viene ambientata la storiella degli “Atti degli Apostoli” che ci mostra Pietro e Giacomo, capi della comunità di Gerusalemme, difendere l'essenismo giudaico contro gli attacchi che gli vengono da Paolo quale predicatore dell'essenismo pagano sostenuto dagli esseno-terapeuti egizio-siriani.
Infatti, da quanto risulta dalla prima versione degli stessi Atti degli Apostoli, cioè da quella che è stata riconosciuta attinente all'epoca alla quale si riferiscono i fatti, la polemica sorta tra Paolo e Pietro sorge essenzialmente dal contrasto tra la corrente essena filo-giudaica di Gerusalemme che vuole imporre le leggi mosaiche e la corrente esseno-pagana che si rifiuta di accettarle . (I Cr. 17 - At. 11,1 - At. 2,3 - At. 15,1 - I Cr. 7,17 - I Cr. 8,2 ).
Paolo, quale sostenitore dei concetti esseno-pagani, è un antigiudeo favorevole all'abolizione delle leggi mosaiche, mentre Pietro, fedele alle leggi dei suoi padri, rappresentate dal pentateuco, è per la loro conservazione. Fu nell'elaborazione di queste regole che si generarono quei contrasti tra i predicatori delle numerose Ecclesie che determinarono i vari Cristi, come risulta dalle Lettere e dagli Atti degli Apostoli nelle quali si parla di un Cristo di Paolo, di un Cristo di Apollo, di un Cristo di Pietro e di un Cristo di Cristo (II Cor.11,14), e dalla stessa Apocalisse del 95 nella quale l'autore, nel saluto alle “sette chiese” (cap. 2), dopo aver messo in guardia i suoi fedeli dal non lasciarsi tentare dai Cristi predicati dai Nicolaidi, dai seguaci della dottrina di Balaam, da Jezabele e da altri, sostiene che l'unico e verace è soltanto quello che è apparso a lui in mezzo a sette candelabri d'argento: <<Simile a figlio d'uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto d'oro, con gli occhi fiammeggianti come fuoco, con piedi di bronzo splendente e la voce simile al fragore di grandi acque>>. (Ap. 1,12). (Solo a pensare che ci sono uomini che credono a certe stupidaggini, mi viene da vergognarmi di essere un appartenente della loro stessa razza!).
Comunque una cosa è certa: per quanto questi Cristi potessero essere differenti l'uno dall'altro, essi sono rappresentati tutti da visioni. Siamo nella seconda metà del I secolo e per nessuno, a qualsiasi corrente appartenga, il Messia si è incarnato, compreso Paolo che, da buon seguace del Logos di Filone, riferendosi al proprio, dichiara espressamente: <<Il vangelo da me annunciato non è modellato sull'uomo; io infatti non l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo (la voce)>> (Gal.1, 11), e ancora, per coloro che non avessero capito come il Paolo primitivo, quello del primo secolo, disconosca ogni forma di umanizzazzione di Cristo, riporto ancora le seguenti sue affermazioni: <<Nessuno Può dire che Gesù è il Signore se non sotto l'azione della Spirito Santo>>. (I Cr.2,3); << Tutti coloro che sostengono un altro Cristo differente dal mio sono falsi apostoli, operai fraudolenti che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché satana si maschera da angelo di luce>>. (II Cr. 11,13).
Qualsiasi confutazione che si possa fare per sostenere che queste espressioni non sono sufficienti per dimostrare che il Cristo predicato da Paolo nel primo secolo non è un Cristo incarnato, non può assolutamente reggere dal momento che veniamo a sapere, sempre attraverso gli stessi testi sacri, che i falsi apostoli, gli operai fraudolenti che Paolo accusa di predicare un falso Cristo, sono nientemeno che Pietro Cefa e Giacomo che, stando a quanto afferma la Chiesa, erano stati testimoni dell'umanizzazione di Cristo.
<<Tanti sono i Cristi di cui si parla, c'è quello di Pietro Cefa, quello di Apollo d'Alessandria, quello di Cristo>> (1Cor. 12) ... <<ma uno soltanto è quello vero, il mio, perché io non sono affatto inferiore a quei super apostoli anche se sono nulla>> (II Cor. 11,12)... <<Sono essi Ebrei? Anch'io lo sono! Sono Israeliti? Anch'io! Sono della stirpe di Abramo? Anch'io! Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro>>. (II Cor. 11,22).

Praticamente Paolo, sostenendo che il suo Cristo conosciuto per rivelazione è superiore a quello di Pietro e Giacomo, ci dimostra che alla base della diatriba ci sono soltanto Cristi immaginari, che escludono nella maniera più esplicita l'esistenza di un Gesù fattosi uomo.
Che i due Cristi, sia quello di Paolo che quello dei due apostoli Pietro e Giacomo, sono sostenuti entrambi dalle visioni, ci viene ancora confermato dalla discussione che sorse tra di essi allorché Paolo, dopo 14 anni dalla rivelazione avuta sulla strada di Damasco, si recò presso la comunità di Gerusalemme per imporre ad essa il suo vangelo: <<Dopo 14 anni, andai di nuovo a Gerusalemme per esporre il vangelo che predicavo alle persone più ragguardevoli per non avere il rischio di correre in vano. Ma da quelle persone ragguardevoli, non appresi nulla di più>>. (GL. 2,6).
E ciò che ha più dello strabiliante in questa vicenda è che dei due Cristi che sono alla base delle discussioni, quello che risulta essere il veritiero, secondo gli Atti degli Apostoli, è proprio quello di Paolo allorché, in una ennesima visione, rivolgendosi a lui gli dice di lasciare la comunità di Gerusalemme perché non avrebbe mai riconosciuto il suo come vero: <<Esci subito da Gerusalemme, disse il Cristo a Paolo, perché le genti di qui non ascolteranno mai la tua testimonianza>>. (At. 22, 18).
Praticamente il Cristo che è apparso a Paolo sulla strada di Damasco nega la veracità del Cristo predicato dalla comunità di Gerusalemme che, stando ai vangeli, era stata diretta testimone, soltanto pochi anni prima, delle sue prediche, dei suoi miracoli e della sua passione e morte. Un assurdo che diventa ancora più assurdo se si pensa che nella comunità di Gerusalemme, oltre a Pietro e Giacomo e agli undici apostoli che avevano conosciuto personalmente Gesù, la Chiesa ci ha infilato dentro anche la stessa madre di Gesù, la vergine Maria.

<<La superiorità della sua rivelazione, Paolo ci tiene ad affermarla nei confronti di coloro che egli chiama con disprezzo “superapostoli” della comunità di Gerusalemme e soprattutto di Giacomo e Pietro detto Cefa nella convinzione che solo il suo sia quello vero. Ma come può Paolo parlare così di uomini che hanno avuto il privilegio di conoscere Gesù vivente? Come è possibile che nessuno si sia opposto alle sue affermazioni teoriche basate su una visione e alla sua arroganza facendo presente a Paolo il vantaggio che avevano Pietro e Giacomo su di lui quali testimoni diretti della parola di Gesù? Noi vediamo che nessuno pone obbiezioni quando afferma di conoscere Cristo meglio di loro. In nessuna delle sue parole Paolo lascia intendere che Giacomo e Pietro gli abbiano detto di aver conosciuto Gesù. Non soltanto non lo afferma ma lo esclude dichiarandosi superiore ad essi. Egli riconosce soltanto di non essere stato il primo nell'ordine cronologico delle rivelazioni dichiarando: “Gesù è apparso a Cefa, poi ai dodici e in fine a lui per ultimo (I Cor. 15,5). Ma questa è solo una successione di tempo che secondo Paolo non dà diritto a nessuna gerarchia essendo rappresentata da visioni>>. (Guy Fau. op. cit. pag. 72).
L'affermazione di Paolo allorché dice di non aver appreso nulla di più su Cristo dalla comunità di Gerusalemme di quanto già aveva appreso dalla rivelazione, non è un'altra prova schiacciante della non esistenza storica di Gesù? Cosa avrebbe mai potuto apprendere Paolo da costoro, all'infuori di ciò che può derivare da un semplice scambio di concetti teorici, dal momento che non c'era stato nessun Messia incarnato? Di quale Messia gli avrebbero potuto mai parlargli gli apostoli della comunità di Gerusalemme se nessuno di quanti si erano dichiarati tali in Palestina si era realizzato?
Di personaggi che si erano fatti passare per Messia ce n'erano stati diversi, sia tra gli appartenenti alla stirpe degli Asmonei, quali Giuda il Galileo, Teuda, Menahem ed Elezzaro, e sia tra gli avventurieri e i mistici, quali Dosidée di Samaria, Meandro e l'anonimo egiziano, ma nessuno di essi era stato riconosciuto tale a causa dei loro fallimenti. Dunque, di quale Messia o di quale Cristo poteva parlare la comunità di Gerusalemme se, come tutte le altre comunità essene, era ancora in attesa del suo avvento come ci viene confermato dall'Apocalisse del 68 e riconfermato da quella del 95?

L'osservazione che mi si potrebbe fare a questo punto è quella di farmi rilevare che è un anacronismo l'aver posto i fallimenti di Menahem ed Eleazaro in relazione ai fatti raccontati dagli Atti degli Apostoli perché, essendo avvenuti nel 70 e nel 74, non potevano essere conosciuti da Pietro e Paolo che svolsero la loro missione negli anni precedenti al 60, non potrebbe risultare che arrogante e inopportuna per il semplice motivo che le discussioni tra gli esseni di origine pagana e gli esseni di origine giudaica riguardanti l'applicazione delle leggi mosaiche, che sono alla base della controversia tra i due apostoli, sorsero soltanto dopo il 70 come conseguenza del grande afflusso di pagani convertiti alle comunità spiritualiste essene, e non negli anni 30, 40 e 50 come la Chiesa falsamente sostiene negli Atti degli Apostoli, libro tardivo e fazioso che fu scritto da ignoranti soltanto alla fine del II secolo.
<<Gli avvenimenti descritti negli Atti degli Apostoli, è assai verosimile che siano veramente accaduti ma, naturalmente, debbono essere datati alcuni decenni più tardi. La lotta tra il Petrismo e il Paolismo sulla obbligatorietà della circoncisione per i proseliti di origine pagana è da collocarsi storicamente dopo il 70, quando la nuova religione era costituita da masse sempre più numerose della popolazione multinazionale dell'impero romano.
Se Paolo sia esistito o no a noi non c'interessa, ma ammesso che lo fosse, o chi per lui, è certo che gli anni 60, nei quali la Chiesa data la sua fine, debbano essere invece considerati il periodo della sua infanzia. Soltanto nei decenni successivi possiamo trovare gli avvenimenti che vengono raccontati nelle Lettere e negli Atti degli Apostoli>>. (J.Kyevelev - op. cit. cap.9).
E come sempre capita alla Chiesa che ogni volta che cerca di atturare un buco gliene s'apre altro, così, anche in questa collocazione dei fatti raccontati negli Atti degli Apostoli che la storia colloca dopo il 70, appaiono ancora una volta evidenti le contraddizioni esistenti nei Libri Sacri come in questo caso dell'errata datazione degli Atti che ci porta a chiederci come sia stato possibile che Pietro e Paolo, morti nel 63-64, abbiano potuto sostenere delle discussioni su argomenti che furono trattati soltanto dopo il 70.

Riprendendo l'argomento lasciato riguardante le diatribe tra Paolo e Pietro, possiamo dire che quello che risulta da esse, secondo gli stessi testi sacri, è che entrambi, con il loro silenzio sulla vita di Cristo, negano nella maniera più evidente la non esistenza storica di Gesù.
<<C'è molto di grave nelle prove che traiamo da S. Paolo riguardo la non esistenza di Gesù: Paolo non s'interessa mai alla vita terrestre del suo Cristo. È soltanto 14 anni dopo l'inizio delle sue predicazioni che si rende a Gerusalemme ma non per informarsi sulla vita del Cristo, come avrebbe dovuto fare se fosse veramente esistito, ma per imporre i propri concetti su di essa. Si può manifestare più di così, attraverso un tale menefreghismo, l'inesistenza di un fatto che si afferma essere avvenuto? Dal suo viaggio a Gerusalemme, Paolo non riporta nulla, neppure un dettaglio, sia pur minimo, sulla biografia di Gesù; egli non s'interessa ai luoghi santi, non fa la minima allusione ai miracoli che sono attribuiti a Gesù, non nomina Pilato, né Caifa, né il Sinedrio, né Erode, né le sante donne tra le quali ci sarebbe dovuta essere anche Maria, la madre del Salvatore che, a sentire la Chiesa era presente nella comunità di Gerusalemme tanto da contribuire alla stesura del vangelo di Luca, e non fa alcuna allusione alla passione e morte.
Se avesse la minima convinzione del suo Cristo attraverso le informazioni avute dai numerosi testimoni che la Chiesa sostiene ci fossero nella comunità di Gerusalemme, la prima cosa che è naturale Paolo facesse, non era quella di chiedere il più possibile, d'informarsi per raccogliere i dettagli in tutti i particolari per conoscere al meglio la vita di Gesù? Ebbene, nulla di tutto questo: egli continua a predicare il suo Cristo che ha conosciuto per rivelazione disconoscendo tutto della sua vita terrena. Non è tutto questo un assurdo inaccettabile?>>. (Guy Fau. op.cit.pag.71).
E ancora: <<La Chiesa ha sentito così forte l'importanza di questa indifferenza di Paolo per l'informazione diretta che avrebbe dovuto effettuare in questo viaggio a Gerusalemme, che ha cercato di riparare inserendo, nella stessa lettera ai Galati, un'allusione a un viaggio precedentemente fatto da Paolo, per poter dire che se non si era informato nel viaggio avvenuto dopo 14 anni inizio delle sue predicazioni, ciò era dipeso dal fatto che era già a conoscenza della vita di Cristo. Questo è veramente troppo! L'interpolazione è così evidente da non ammettere nessun dubbio su di essa perché, oltre all'analisi esegetica che ne dimostra il falso, nulla si passa comunque anche nel primo viaggio riguardo la storicità di Cristo, per cui Paolo continua ad ignorare tutto sulla sua vita. Di questo primo viaggio nessun manoscritto ne parla, almeno fino a S. Ireneo (fine del II sec) il quale scrivendo di S. Paolo, dimostra di ignorarlo. E poi, lo stesso giuramento fatto dall'interpolatore: “Prendo Dio come testimone che dico la verità”, non è di per se già una prova della falsificazione del passo? Per quale altro motivo questo giuramento se non perché ciò che veniva detto era falso?>>. (G.Ory- Quaderno del Circolo Renan- 1955).
Questi è il Paolo apostolo del primo cristianesimo esseno, il Paolo sostenitore del Cristo Filoniano che si sviluppò nella seconda metà del primo secolo dando luogo ai primi conflitti tra gli esseni di origine ebraica e gli esseni di origine pagana che, culminando con l'introduzione dell'Eucaristia, determinarono verso la metà del secondo secolo la scissione definitiva tra le due correnti che dette inizio al cristianesimo di Madre Chiesa.

Paolo era un esseno che predicava un Cristo che aveva contattato soltanto attraverso una voce, come erano esseni Pietro Cefa e Giacomo suo fratello i quali, opponendo al Cristo di Paolo non un Cristo umanizzato, come sarebbe dovuto essere se lo avessero veramente conosciuto, ma un Cristo immaginario appartenente al mondo dei sogni e delle visioni, negano nella maniera più evidente ogni forma d'incarnazione.
Per quanto si sia cercato di nascondere la verità con falsificazioni, interpolazioni, aggiunte e cancellazioni, gli Atti degli Apostoli rimangono in tutta la loro evidenza un libro essenzialmente esseno. Basta leggere il passo del secondo capitolo nel quale ci viene presentata la vita della comunità di Gerusalemme per toglierci ogni ombra di dubbio sulla sua natura essena: <<Erano assidui nell'ascoltare gl'insegnamenti degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti (agapi) con letizia e semplicità di cuore lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo>>. (At.2,42) e ancora più avanti: <<La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede avevano un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune, nessuno infatti era tra loro bisognoso, perché quanti possedevano campi o case le vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il loro bisogno>>. (At. 4,32).
A parte il fatto che il Tempio al quale si riferisce il primo passo non può essere che una Sinagoga dal momento che si esclude che ci potessero essere chiese cristiane, come pretende la Chiesa, basta rileggere ciò che Giuseppe Flavio e Filone scrissero degli esseni e il “Libro delle Regole”, scritto dagli Esseni stessi, per avere la conferma che la comunità di Gerusalemme era prettamente essena: << Gli Esseni hanno un'unica cassa per tutti e le spese sono in comune... Tutto ciò che ricevono come salario giornaliero non lo conservano in proprio, ma lo depongono in un fondo comune affinché sia usato a beneficio di tutti coloro che vogliono servirsene>>. (Filone Alessandrino).
<<Presso gli Esseni è ammirevole la loro vita comunitaria. Invano si cercherebbe tra di loro qualcuno che possegga più degli altri. C'è infatti una legge che impone a quelli che entrano di cedere il patrimonio alla corporazione in maniera che in nessuno di essi possa apparire l'umiliazione della miseria o l'alterigia della ricchezza, ma un'uguaglianza che li renda fratelli>>. (Giuseppe Flavio).
Soltanto a pensare che ci possano essere contemporaneamente due religioni identiche, praticanti le medesime regole e all'interno delle stesse comunità senza conoscersi, fa venire da ridere. O l'una o l'altra e poiché l'esistenza di quella essena è stradocumentata e straprovata, mentre dell'altra non esiste nulla, lascio senza commento la conclusione che ne deriva.
Riferendomi alla parola sopra marcata in grassetto, a proposito dei pasti in comune, voglio precisare che con il nome di “agape” gli esseni specificavano quel rito che essi facevano spezzando il pane (fratio panis) per imitare, ma senza consacrazione, il sacramento dell'Eucarestia del Culto dei Misteri. Imitazione che facevano con lo scopo di sostituirsi alle religioni pagane, e soprattutto a quella Mitraica che sempre più stava prevalendo sulle altre, attraverso l'imitazione dei loro riti: <<In ogni luogo in cui ci saranno dieci uomini del consiglio delle comunità, tra di essi non mancherà un sacerdote: si sedevano davanti a lui, ognuno secondo il proprio grado e così sarà domandato il loro consiglio in ogni cosa. E allorché si disporranno a tavola per mangiare o bere il vino dolce il sacerdote stenderà la sua mano per benedire il pane e il vino dolce.
Dopo, il Messia d'Israele stenderà le sue mani sul pane così saranno benedetti tutti quelli dell'assemblea della comunità, ognuno secondo la sua dignità.
In conformità a questo statuto essi si comporteranno in ogni refezione, allorché converranno insieme almeno dieci uomini>>. (Dai Rotoli di Qumran: “Regola della Comunità Essena”).
Se vi è venuto di associare queste regole ad una certa “ultima cena”, avete centrato la realtà perché essa infatti, essendo composta da una squadra di esseno-zeloti, fu consumata esattamente secondo la “Regola delle Comunità Essene”.

Fatte queste considerazioni di carattere generico, passiamo ora ad esaminare quei casi specifici che ci dimostreranno in maniera inconfutabile come le comunità, sia quella di Gerusalemme che tutte le altre del Medio Oriente, erano composte da protagonisti prettamente esseni e non da cristiani di Madre Chiesa.
Cominciamo con quella carica religiosa, del “nazireato” che, praticata nei secoli che seguirono la sua istituzione voluta da Mosè (Sansone fu un Nazireo e così Giovanni Battista), passando attraverso la riconferma che ricevette dagli Asidei durante la rivolta dei Maccabei (I Mc. 3,48), fu conservata dagli Esseni per quel “rispetto alle leggi dei loro padri” di cui ci parla Filone.
Dal Deuteronomio: “Il Signore disse a Mosè: <<Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando un uomo e una donna farà un voto speciale, il voto di Nazireato, per consacrarsi al Signore, si asterrà dal bere sostanze alcoliche e per tutto il tempo del suo voto di Nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; finché non saranno compiuti i giorni per i quali si è consacrato al Signore, si lascerà crescere la capigliatura>>. (Nm.6.1).
Negli Atti degli Apostoli numerose sono le citazioni che ci confermano la presenza di Nazirei nella comunità di Gerusalemme: “Si rivolsero a Paolo e gli dissero: <<Fa dunque quanto ti diciamo: vi sono fra noi quattro uomini che hanno un voto da sciogliere: prendili con te, compi la purificazione insieme con loro e paga la spesa per loro perché possano radersi il capo>>”. (AT. 21,23).
E come era essena la comunità di Gerusalemme lo erano anche quelle egiziane e siriane dal momento che in esse Paolo assunse la qualifica di Nazireo, come risulta dagli stessi Atti degli Apostoli: << A Cencre, Paolo si fece tagliare i capelli per un voto che aveva fatto>>. (At. 18,18).
Il nazireato che rende Paolo un esseno ci viene confermato nella forma più inequivocabile in un altro passo degli Atti degli Apostoli nel quale un avvocato, di nome Tertullo, lo accusa con queste parole davanti al Sommo Sacerdote Anania: <<Abbiamo scoperto che quest'uomo è una peste, fomenta continue rivolte tra i Giudei ed è capo della setta dei Nazirei>>. (AT. 24,5).

Altre prove, se non bastassero queste per dimostrare che Paolo e compagni erano esseni, e per giunta tra i più zelanti e rivoluzionari, ci viene da altri episodi, quali:

a) L'imperatore Claudio espulse nel 52 da Roma i Giudei che erano causa di continui disordini (Giuseppe Flavio- Guerra Giudaica- e Svetonio- Vita dei Dodici Cesari) e Paolo nei suoi giri di predicazioni trovò alloggio, secondo la regola dell'ospitalità che vigeva presso le comunità essene (vedi Filone nel passo sopra riportato), proprio presso una coppia di coloro che facevano parte dei giudei rivoluzionari rimpatriati da Claudio: <<Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i giudei. Paolo si recò da loro e poiché erano della stesso mestiere, si stabilì nella loro casa. Erano infatti fabbricatori di tende>>. (At. 18,1).

b) Gli esseni avversavano ogni figura di divinità eseguita da mano d'uomo per quella legge che Mosè ricevette da Dio: <<Guardatevi di non fare alcuna immagine scolpita di qualunque cosa, riguardo alla quale il Signore Dio tuo ti ha dato comando. Guardatevi da divinità fatte da mano d'uomo, dei di legno e di pietra>>, e Paolo da estremista esseno carico di zelo, si mette a distruggere tutte le immagini che venivano esposte per la vendita sì da provocare nella città di Efeso e in tutta l'Asia dei continui tumulti da parte degli artigiani che vivevano di questo commercio. (At. 19,23).
(Chissà cosa avrebbe detto questo predicatore, nella sua esaltazione di esseno-zelota, se avesse saputo che lo avrebbero fatto diventare la colonna portante di una religione che costruirà sulle statuette e sui santini giri d'affari miliardari? )

c) Pietro, da buon esseno-giudeo osservante delle leggi degli antichi padri che proibivano di mangiare carni di animali immondi, a Dio che lo tenta offrendogli come cibo, su una grande tovaglia calata dal cielo, ogni sorta di quadrupedi, rettili e uccelli, risponde con decisione: <<No, Signore, io non mangerò mai nulla di profano e d'immondo>>. (At.9, 11).

d) Nella Legge di Mosè c'è scritto: <<Nessuno tra voi mangerà sangue, neppure lo straniero che soggiorna mangerà sangue di nessuna specie di essere vivente perché il sangue è la vita, né carne di bestia morta naturalmente o soffocata>> (Lv. 12,14) e i seguaci della comunità di Gerusalemme confermano il loro giudeo-essenismo imponendo ai convertiti pagani ancora una volta le loro patrie leggi: <<Quanto ai pagani che sono venuti alla nostra fede, noi abbiamo deciso che si astengano dal sangue e da ogni animale morto naturalmente o soffocato>>. (At. 15,19).

e) Il discorso fatto da Stefano prima di morire, non è un panegirico delle leggi mosaiche confermante la sua natura essena? (At.7, 1 e egg.).

f) E un'altra indiscutibile prova testimoniante l'essenismo di Paolo non ci viene dal suo discorso sul matrimonio?: << ...ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io, ma se non sanno vivere in continenza si sposino, è meglio sposarsi che ardere (bruciare la specie umana)>>. (I Cr. 7).

Praticamente in questo passo Paolo ci viene mostrato nel ruolo di equilibratore tra gli Esseni favorevoli al matrimonio e gli Esseni ad esso contrari dei quali così ci parla Giuseppe Flavio: <<Gli Esseni per se stessi disdegnano il matrimonio, ma adottano i figli altrui, mentre sono ancora arrendevoli ai loro insegnamenti: li considerano come parenti e li modellano secondo i loro costumi... Esiste pure un altro gruppo di esseni che per genere di vita, per abitudine e legislazione dissentono dagli altri sulla questione del matrimonio. Ritengono che coloro che non si sposano recidano una parte importantissima della vita e cioè la propagazione della specie, tanto che se tutti adottassero la stessa opinione favorevole al celibato ben presto scomparirebbe il genere umano>> (G. Flavio. Guerra Giudaica- Mondadori-IV, pag. 58-61).

E altre prove dimostranti che Paolo è un predicatore esseno ci vengono ancora dall'approfondimento della studio dei testi sacri, quale il seguente che è stato tratto dagli Atti degli Apostoli: <<C'era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione disse ad Anania: va sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo di Tarso; imponi su di lui le tue mani perché recuperi la vista. Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e improvvisamente Paolo riacquistò la vista e fu subito battezzato>>. (At. IX, 11).
Esegesi del passo: <<Dopo aver perso la vista sulla strada di Damasco, Paolo va a rifugiarsi nella “casa di Giuda”, la quale si trova in una strada chiamata “Diritta”. In apparenza, questa casa potrebbe sembrare quella di un uomo che si chiamava Giuda. Ma noi ora sappiamo attraverso i commentari di Habacuc, che l'espressione “casa di Giuda” designava la comunità essena di Damasco. Il rapporto esistente tra Paolo e la comunità essena che viene espresso dal passo degli Atti, non può essere che un'ulteriore conferma della natura essena di Paolo. (Guy Fau. op. cit. pag.217).

E ancora: <<In questo luogo Paolo riceve l'imposizione delle mani da un uomo dichiarato discepolo. Discepolo di chi? Non ci viene detto, ma più avanti nel passo XXII, 12, ci viene spiegato che si tratta di un “giudeo osservante della legge, altamente stimato da tutti i giudei colà residenti”. Non è dunque un cristiano. Cosa può dunque essere questo giudeo osservante della legge, che riceve una visione del Signore, se non un capo di una comunità essena? (Guy Fau. ibidem).
<< Anania battezza Paolo. Chi poteva battezzare a Damasco, luogo dove si svolgono i fatti, dal momento che il battesimo era ancora sconosciuto anche presso la comunità di Gerusalemme (fatta eccezione di Giovanni detto il Battista) e per giunta ancora nessuno è stato qualificato per eseguire un battesimo cristiano, se non un esponente degli esseni presso i quali esisteva il battesimo già da lungo tempo prima?>> (Guy Fau. Ibidem).
<<Anania dice ancora: “Il dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto”. (At. XX,14). Chi altri può essere questo Giusto se non il Maestro di Giustizia degli Esseni? Il Giusto per eccellenza?>>. (Guy Fau. ibidem.).
<<È molto interessante studiare le lettere di Paolo per cercarvi tutte le idee o formule che possono essere riferite all'essenismo ed essere interpretate secondo la dottrina e la pratica essena. Il nome di Belial, dato a Satana, è usato nei manoscritti di Qumran. Paolo parla della “comunità dei Santi” e degli “eletti dalla grazia”, che sono concetti esseni. Egli predica la castità e la continenza (I Cor.7), virtù essene, e come gli esseni condanna la fornicazione (I Cor. V,4 - VI,8). Egli predica una morale essena (Rom. XII).ecc.>>. (Guy.Fau. ibidem pag.219).
<<Chiunque fosse stato l'autore, l'interpolatore, qualsiasi fosse stato il periodo nel quale furono compilati i testi attribuiti a Paolo, tutto ciò che è in essi è scritto si può rapportare agli Esseni e al loro Maestro di Giustizia>>. (A.Ragot. Paolo di Tarso. Quaderno del Circolo Renan. 4° trim. 1963).

Paolo e la Gnosi

Finito il primo secolo passato sulle predicazioni di un Logos che si era fatto conoscere soltanto attraverso le visioni, ci ritroviamo nel secondo con un Logos che l'evoluzione religiosa ha trasformato da voce in un Salvatore che, pur rimanendo essenzialmente spirituale, è disceso sulla terra assumendo le forme umane, e quello che ci stupisce ancora di più della trasformazione stessa è di vedere che Paolo, morto nel 63, ne è diventato il sostenitore.
Per comprendere Paolo nell'assurdo ruolo di predicatore di un Cristo gnostico concepito nel secondo secolo, cioè cinquant'anni dopo la sua morte, e quindi tutte le incoerenze ideologiche e gli anacronismi che ne derivano, è opportuno conoscere il concetto base di quella filosofia chiamata gnosi sul quale esso fu costruito.
Gnosi: “Forma di conoscenza superiore, di origine divina, proposta da una serie di movimenti di pensiero per la salvezza dell'anima”. Definizione che, per quanto chiara possa essere, merita comunque di essere ampliata: <<Nel mondo intellettuale di Alessandria d'Egitto, durante il secondo secolo, il problema religioso viene inserito nell'ambito di una matura esperienza filosofica e mistica. I dottori alessandrini fanno distinzione tra la fede accettata secondo una forma istintiva popolare e la fede che invece ci viene dalla scoperta delle verità religiose in seguito a riflessioni e ragionamenti d'ispirazione cosmica.
Da Dio, quale sorgente di luce posta al centro del cosmo, si dipartono, come i raggi dal sole, entità incorporee, cioè essenzialmente spirituali, chiamate “Eoni”, le quali diventano sempre meno perfette via via che si allontanano da lui come avviene alla luce che s'indebolisce distanziandosi dalla sua sorgente. L'ultimo eone, rappresentato dall'anima umana, venuto a contatto con la materia corruttibile, è caduto nelle tenebre diventando, di conseguenza, schiavo del dolore, del male e della morte.
L'uomo potrà liberarsi della schiavitù della materia soltanto attraverso una ricerca razionale (gnosi) che gli permetterà di riprendere conoscenza della sua natura divina. (Divinizzazione).
Siccome il ritorno dell'uomo alla primitiva perfezione è desiderato da Dio, egli gli invia, in un gesto d'amore, il modello perfetto dell'uomo spirituale che gl'insegnerà con il suo esempio la giusta morale da seguire perché possa riscattarsi dalla schiavitù della materia.
Ma in opposizione al programma divino, ci sono gli Arconti, spiriti del male, che cercano di farlo fallire perseguitando e uccidendo colui che Dio ha inviato sulla terra in qualità di redentore>>. (M.Craveri. Vangeli Apocrifi- Einaudi - pag.476)
Questo modello perfetto (Maestro di giustizia) che per tutto il primo secolo, nella figura del Logos filoniano, era stato sollecitato, attraverso inni e preghiere a discendere sulla terra, fu di punto in bianco tradotto in un Messia che si era già realizzato, come risulta dalle sentenze e detti che gli furono attribuiti e dal filosofo Marcione che nel suo vangelo arrivò addirittura a scrivere su di lui una biografia con tanto di date, di luoghi e di personaggi riferentesi alla sua vita terrena.
Questa pretesa di sostenere l'avvenuta esistenza di una persona da tutti ignorata, cioè l'intromissione nella storia di un Messia la cui vita era stata da tutti sconosciuta, che non può che risultare un assurdo al buon senso e alla ragione, fu sostenuta dagli gnostici esseni, quali seguaci della Bibbia, ricorrendo ancora una volta a quel trascendentale dal quale si fa dipendere, tra le tante verità, l'infallibilità delle profezie. E fu così che, invocando la profezia di Isaia che aveva annunciato che nessuno si sarebbe accorto di lui, imposero il suo passaggio sulla terra come un fatto storicamente avvenuto:<< Egli (il Messia), dopo essere passato tra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere riconosciuto da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello che viene condotto al mattatoio>>.

Solo a considerare che la storicità della vita di Gesù si regge tutta su questa profezia invocata dagli gnostici, non è più che sufficiente per convincerci della sua non esistenza storica?

E come fu semplice trovare la giustificazione dell'avvenuta esistenza del Cristo ricorrendo ad una profezia, altrettanto semplice fu il dimostrare come potesse il Cristo svolgere tutte le funzioni umane pur rimanendo purissimo spirito: <<Il Salvatore, avendo tutto tollerato, divenendo padrone di se stesso, era giunto al punto di continenza che il cibo che mangiava non si corrompeva nell'interno del suo corpo perché in lui non poteva esistere corruzione della materia. Mangiava e beveva come un uomo ma in maniera particolarissima, non restituendo gli alimenti>> (Dal vangelo gnostico di Valentino). E questo è niente di fronte a tante altre stupidaggini sostenute dalla teologia!
Considerando che siamo agli inizi del secondo secolo e che Cristo ha concluso la sua vita soltanto 70-80 anni prima, cos'altro potrebbe risultare questo ricorso ad una profezia per sostenere l'esistenza di Gesù se non un'ulteriore prova dimostrante la sua non esistenza storica?
Siamo nella prima metà del secondo secolo e tutti negano ancora l'incarnazione di Cristo, la negano Marcione, Papia, Carpocrate, Valentino, Nicola, Basilide i Doceti e tutti gli altri teologi e filosofi del tempo e nessuno la conferma.
E sarà proprio attraverso questa profezia che gli gnostici si approprieranno di Paolo, il predicatore di un Logos che si era fatto conoscere soltanto attraverso le visioni, per trasformarlo nel sostenitore del loro Messia gnostico, facendogli scrivere: <<Dalla discendenza di David, secondo la promessa, Dio trasse per Israele un Salvatore. Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi non lo hanno riconosciuto e condannadolo hanno compiuto le parole dei profeti>>. (At.13,23).
Trovandoci così di fronte a due Cristi paolini totalmente differenti, l'uno del primo secolo, che contatta gli uomini dal cielo attraverso le visioni, e l'altro degli inizi del II secolo, che ha già compiuto la sua missione con tanto di condanna a morte operata dagli abitanti di Gerusalemme su istigazione degli Arconti (angeli del male), cos'altro possiamo concludere se non che Paolo, non potendo essere sostenitore di entrambi sia per la contraddizione esistente tra di essi e sia per l'anacronismo che ci viene dalla sua morte avvenuta nel 63, se non che egli fu usato dagli gnostici (molto probabilmente dallo stesso Marcione), per dare credibilità al proprio Salvatore?

La trasformazione concettuale che porta Paolo a farsi sostenitore di un Cristo gnostico concepito soltanto nella prima metà del II secolo, non può essere che l'opera di falsificazioni, aggiunte e stratificazioni operate nelle sue Lettere e con tale evidenza da essere indifendibili:
<<Come per Marcione la morte del Signore è avvenuta per volontà degli Arconti, così per il Paolo gnostico il Cristo viene ucciso dai “Principi delle tenebre”>> (Guy Fau. Pag. 81-op.cit.).
E il Paolo si conferma ancora sostenitore del Cristo gnostico in numerosissimi passi riportati sia dalle lettere che dagli Atti dei quali, per una brevità che si siamo imposti di rispettare in questa relazione, ne riportiamo soltanto alcuni:

<<Dio ha mandato il proprio figlio in una carne simile a quella del peccato>>. (Rm. VIII, 3).
<<Cristo pur essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini ci è apparso in forma umana>>. (Fil. 6).
E secondo quanto sostengono gli gnostici, che per dimostrare che il Salvatore non ha una nascita terrena lo rapportano al sacerdote Melchisedech dichiarato dalla Bibbia privo di genealogia, così Paolo scrive: <<Gesù è entrato nel santuario come precursore, essendo divenuto Sommo Sacerdote alla maniera di Melchisedech. Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, fatto simile a figlio d'uomo, rimane sacerdote in eterno>>. (Ebr. 7,1).
Un altra prova dimostrante come Paolo fosse stato usato dalla corrente gnostica ci viene dal passo che si riferisce a quel mago Simone che fu usato dallo gnosticismo per combattere la magia che stava riprendendo il via presso gli esseni di origine pagana che si stavano sempre più allontanando da un Cristo reso troppo complesso, e quindi incomprensibile, dalle teorie gnostiche.: <<Elimas, il mago, ciò infatti significa il suo nome, fece opposizione e Barnaba e a Saulo che intendevano parlare al proconsole della loro fede. Allora Saulo, detto anche Paolo, fissandolo negli occhi lo accusò di essere un uomo pieno di frode e di malizia, figlio del diavolo e di sconvolgere le vie dritte del Signore>>. (At. 13,8).
Sarebbe sufficiente soltanto rimarcare che colui che riporta il fatto confonde il soprannome Saulo (zoppo) con il vero nome, tanto da scrivere “Zoppo, detto anche Paolo”, per confermarci che questo passo non può essere che una grossolana interpolazione fatta da un somaro che neppure conosceva il nome di colui che stava usando per le sue falsificazioni.
Conosciuto così il Paolo gnostico del secondo stadio della metamorfosi Messianica, il Paolo che continua ancora a negare ogni forma di umanizzazione, passiamo al terzo ed ultimo stadio nel quale viene trasformato dai cristiani, gli ultimi arrivati, sostenitore dell'incarnazione di Cristo.